Il primo re cristiano Abgar era un assiro. Sant'Abgar, il primo re d'Armenia che credette in Cristo. Aiuta Abgar re d'Armenia

Santo Mandylion. Storia della reliquia (1)

Icona di un trittico conservato nel museo del Monastero del Sinai. Il principe Avgar assume l'immagine non fatta da mani. La parte centrale del trittico con l'Immagine non fatta da mani è andata perduta

Il giorno del 16 agosto 944 divenne il più importante nella storia dell'Immagine di Cristo non fatta a mano sulla lavagna, chiamata a Bisanzio “Holy Mandylion” (2) (TO AGION MANDYLION), e in Antica Russia“Santo Ubrus” (3). In questo giorno, la preziosa reliquia, solennemente trasferita il giorno prima a Costantinopoli dalla lontana città siriana di Edessa, fu collocata nella chiesa reliquiaria del Gran Palazzo, tra gli altri più importanti santuari dell'impero. Da questo momento inizia la glorificazione pancristiana del Mandylion, che diventa quasi la principale reliquia del mondo bizantino (4). Negli elenchi dei santuari di Costantinopoli e nelle descrizioni dei pellegrinaggi, occupa costantemente uno dei primi posti.

V calendario della chiesa il 16 agosto viene istituita la celebrazione annuale del “Trasferimento dell'immagine non fatta da mani da Edessa a Costantinopoli”. Poco dopo il 944 fu realizzato uno speciale "Racconto dell'immagine non fatta da mani" la cui paternità fu attribuita all'imperatore bizantino Costantino VII Porfirogenito, partecipante diretto agli eventi (di seguito, il Racconto) (5). Quest'opera divenne la principale fonte di informazioni sul Mandylion, le sue versioni ridotte e modificate furono incluse nelle minologie e nei prologhi dell'intero mondo ortodosso, ad esempio la leggenda dell'antico russo era già nota nella Rus' di Kiev (6).

Due leggende sull'emergere dell'immagine non fatta da mani

A metà del X sec. Il creatore del "Racconto" conosceva due leggende sull'apparizione dell'immagine del Salvatore non fatta da mani. Secondo la prima storia, il toparca di Edessa di nome Avgar, che soffriva di gravi malattie, venne a conoscenza dei miracoli di Cristo e credette in Lui. Inviò una lettera al Salvatore chiedendogli di venire a guarirlo. Avgar ordinò al suo inviato Anania, che sapeva disegnare, di fare anche un ritratto di Cristo. Il Salvatore, ricevuta una lettera, scrisse una risposta in cui prometteva a coloro che non Lo vedevano, ma che credevano, Abgar guarigione e vita eterna, e protezione e inespugnabilità alla sua città Edessa. Inoltre, Cristo, «dopo essersi lavato il volto con l'acqua, e poi asciugandone l'umidità con un asciugamano che gli è stato dato, si è degnato di imprimervi i suoi lineamenti in modo divino e inesprimibile» (Racconto, 13). Una lettera e una tavola con l'immagine non fatta da mani furono consegnate ad Anania per Avgar, in modo che ricevesse la liberazione dalla sofferenza e dalla malattia (7).

Non meno autorevole autore bizantino del X sec. considera un'altra storia sull'emergere del Mandylion, che in questa versione è considerato una reliquia, che ricorda le passioni del Signore. L'immagine miracolosa appare durante la preghiera nell'orto del Getsemani, quando Cristo prevede la sua sofferenza sulla croce: indica il racconto evangelico (Lc 22,44), poi dicono, preso questo lembo di stoffa ora visibile a uno dei discepoli, con esso asciugò i rivoli di sudore e subito si imprimeva la sua immagine divina» (Racconto, 17). Dopo l'Ascensione di Cristo, l'apostolo Tommaso consegnò l'icona non fatta da mani all'apostolo Taddeo, che mandò ad Abgar in adempimento della promessa di Cristo. Alla vista dell'apostolo che portò il Mandylion, Avgar fu immediatamente guarito, mettendosi una sciarpa sulla testa, sugli occhi e sulla bocca. Studiò “l'impronta dell'immagine sul lino” e rimase stupito dal suo potere miracoloso, e l'apostolo Taddeo gli parlò di “un'immagine senza colori dal sudore” (Racconto, 21). L'apostolo Taddeo, dopo aver compiuto molti miracoli e guarito tutti i malati di Edessa, battezzò Abgar e la sua famiglia. Il neo-battezzato sovrano di Edessa glorificò l'immagine non fatta da mani. Lo attaccò alla tavola, lo decorò d'oro, scrivendo sull'immagine della parola: «Cristo Dio, che spera in te, non perirà» (Racconto, 25). Installò un'immagine miracolosa davanti alla porta principale della città nel luogo in cui era stata precedentemente la statua della venerata divinità greca. E tutti hanno dovuto inchinarsi alla “meravigliosa immagine di Cristo” quale nuovo celeste patrono della città.

Mandylion a Edessa

L'autore de "Il racconto dell'imperatore Costantino" fece uno studio eccezionale delle fonti e, cercando l'autenticità storica, raccolse le fonti disponibili a metà del X secolo. testimonianze su Mandylion. Si riferisce direttamente al quarto libro della “Storia della Chiesa” di Evagrius Scholasticus (VI secolo) (8) e al testo della “Epistola dei Patriarchi d'Oriente all'imperatore Teofilo” (IX secolo) (9). Tuttavia, anche questo colto storico bizantino non ha potuto fornire alcuna prova iniziale dell'immagine di Edessa non fatta da mani.

Infatti, il primo resoconto inequivocabile di Mandylion è dato da Evagrius alla fine del VI secolo. Fino a quel momento, Edessa, la corrispondenza di Cristo con Abgar e le reliquie della santa lettera sono riportate in dettaglio all'inizio del IV secolo. Eusebio di Cesarea (10) e alla fine di questo secolo la pellegrina Egeria (11). Tuttavia, non accennano nemmeno all'esistenza del Mandylion. Lo storico bizantino Procopio di Cesarea, parlando delle vicende contemporanee dell'assedio di Edessa da parte dei Persiani nel 544, non dice nulla anche dell'immagine non fatta da mani e si limita a riferire della Lettera di Cristo (12). E si tratta, tuttavia, dell'assedio, durante il quale, secondo la successiva “Storia” di Evagrius Scholasticus, Mandylion compì il grande miracolo di salvare Edessa. Tale silenzio consente a un certo numero di ricercatori di credere che la leggenda di Mandylion si sia formata non prima della metà del VI secolo a.C. (13), forse in connessione con un certo ritratto di Cristo che esisteva ad Edessa.

Apocrifi siriani dell'inizio del V sec. L'“Insegnamento di Addai” racconta che il pittore reale Hannan l'archivista, inviato da Avgar, “dipinse l'immagine di Gesù con i colori migliori”: questo ritratto “fatto dall'uomo” fu portato a Edessa e collocato solennemente in una delle camere del palazzo di Avgar (14). Tuttavia, nella libera traduzione greca di questo testo, i cosiddetti “Atti di Taddeo”, datata alla prima metà del VII secolo, compare già il racconto dell'Immagine di Cristo non fatto da mani alla lavagna (15) .

L'immagine non fatta da mani occupa un posto importante nelle prime fonti armene, poiché Avgar è considerato da loro un re armeno. La fondamentale “Storia dell'Armenia” di Movses Khorenatsi (V o VIII secolo) riporta il messaggio di Cristo portato da “Anan, l'araldo di Avgar, insieme all'immagine del volto del Salvatore, che è custodita nella città di Edessa fino ad oggi” (16). La "Storia dei santi di Hripsimian", attribuita a Movses Khorenatsi, fornisce un'importante testimonianza relativa all'era dell'imperatore Diocleziano. Coloro che lasciarono Gerusalemme per l'Armenia alla ricerca dell'icona della Madre di Dio, S. Hripsime e le sue compagne «vennero nella città di Edessa e, inchinandosi all'immagine del Salvatore, furono piene di gioia, credendo di aver visto il Verbo vestito di carne. E ancora l'apparizione di visioni miracolose li spinse all'eremitaggio. E alcune delle donne, separandosi da loro, rimasero in questa città, nella grande chiesa di Abgar, fondata da Taddeo» (17). Il culto di una certa immagine di Cristo ad Edessa è riportato anche da una vita siriana del VI secolo. (diciotto)

Tuttavia, il primo, e per lungo tempo l'unico, messaggio sull'immagine non fatta da mani di Edessa rimane il testo della “Storia della Chiesa” di Evagrius Scholasticus (IV, 27), datato 594 (19) Durante l'assedio di dalle truppe del persiano Shah Khosrov, la città fu miracolosamente salvata da “un'icona non fatta da mani, che non fu creata dalle mani di persone, ma Cristo Dio mandò ad Avgar quando desiderava ardentemente vederlo”. L'icona fu portata negli scavi, con l'aiuto del quale gli Edessiani avrebbero dato fuoco alle fortificazioni d'assedio dei Persiani. L'immagine fu spruzzata con acqua, dopodiché alcune gocce furono spruzzate sulla legna da ardere, che miracolosamente prese fuoco. Il conseguente incendio distrusse completamente le strutture persiane, il che portò alla revoca dell'assedio.

Resti dell'antica Edessa (ora Urfa in Turchia)

"Il racconto dell'imperatore Costantino" integra il racconto di Evagrius e sulla base di fonti a noi sconosciute, e racconta anche la storia di Mandylion dall'apparizione a Edessa all'assedio del 544. Si dice che il nipote di Abgar apostata dal cristianesimo e decise di distruggere l'immagine non fatta da mani davanti alle porte della città. Appreso ciò, il Vescovo di Edessa chiuse la “nicchia semicircolare” con il Mandylion con tegole, avendo preventivamente posto una lampada davanti all'Immagine non fatta da mani. Poi ha livellato il muro con mattoni e intonaco. Lo storico osserva specificamente che la piastrella era necessaria per proteggere la "tela che porta l'immagine" dall'umidità e dal degrado (Racconto, 28).

Per diversi secoli, il Mandylion nascosto è stato dimenticato. E solo durante l'assedio di Edessa da parte del re persiano Khosrov, quando sembrava che nulla potesse salvare gli abitanti della città, il vescovo Eulalio apparve di notte "una bella moglie armata", che gli rivelò l'ubicazione dell'immagine non realizzata da Mani. Eulalio trovò il Mandylion intatto e la lampada accanto non estinta. “Sulla tegola posta davanti alla lampada per sicurezza, era impressa un'altra somiglianza di quella somiglianza - è ancora conservata a Edessa” (Racconto, 32). Quella che segue è una storia sull'indebolimento. Tuttavia, a differenza della storia di Evagrius, che viene raccontata anche nel Racconto, la legna da ardere non viene accesa con l'acqua consacrata dall'icona, ma con le gocce d'olio di una lampada che ha ricevuto potere miracoloso da molti anni di essere accanto all'Immagine Non fatto a mano. La punizione divina fu rafforzata da un rito speciale: il vescovo Eulalio, sollevando il Mandylion nelle sue mani tese, fece il giro delle mura della città: un forte vento inaspettato soffiò la fiamma e la diresse verso i persiani.

In questa storia straordinaria, si possono notare una serie di motivi archetipici stabili (topoi), che sono fissati nelle leggende cristiane orientali sulle icone miracolose, specialmente dopo la vittoria della venerazione delle icone nell'843. ; una candela o una lampada misteriosamente accesa ma non accesa, che diventano esse stesse miracolose; lavando con acqua l'immagine santa, dopo tale consacrazione acquista potere miracoloso; l'uso dell'icona come apotropaea (amuleto protettivo) e palladio (patrono celeste) posti in prossimità delle porte; una processione liturgica (litiya) con un'immagine sacra lungo le mura della città, che riceve così la massima protezione. L'ultimo rito, ben noto a Costantinopoli, è ancora utilizzato nei servizi della Chiesa ortodossa. Si potrebbe pensare che per molti di questi motivi, Il racconto dell'imperatore Costantino sull'icona miracolosa più importante sia servito da fonte e modello archetipico.

Immagini miracolose ed elenchi creati dall'uomo

Il motivo per riprodurre l'immagine miracolosa merita una considerazione speciale: l'aspetto di copie sia miracolose che pittoriche. Il racconto parla di due impronte miracolose di Sant'Ubru su una piastrella. Una "Santa Reliquia" (TO AGION KERAMION), che apparve miracolosamente davanti al Mandylion in una nicchia sopra il cancello, fu conservata ad Edessa fino al 968. Secondo la testimonianza dello storico bizantino Leone Diacono, quest'anno l'imperatore Niceforo Foca trasferì la reliquia alla Chiesa di Nostra Signora di Pharos a Costantinopoli, dove era conservato 944 Mandylion (20).

Un altro San Chrepie era venerato a Hierapolis. Secondo il racconto, Anania, di ritorno da Gerusalemme a Edessa, si fermò alle mura di Hierapolis, dove nascose il Mandylion in un mucchio di tegole appena fatte. Intorno a mezzanotte, sul luogo della reliquia apparve un "grande fuoco", simile a un fuoco: questo splendore proveniva dall'immagine sacra. Su una tegola vicina apparve un'impronta miracolosa, che gli abitanti della città lasciarono e conservarono come “sacro patrimonio e prezioso tesoro” anche nell'epoca della creazione del Racconto (circa 944) (Il Racconto, 14). Nel 967 Niceforo Foka trasferì questa reliquia a Costantinopoli (21). È interessante notare che la tradizione siriana narra di impronte su due tegole che si trovavano nel tempio di Hierapolis, e che in seguito furono visibili nella chiesa fondata dall'apostolo Filippo (22).

Secondo un'antica leggenda, una tegola con il volto di Cristo non realizzata a mano sarebbe stata portata in Georgia dalla Siria da S. Anthony Martkopi - uno dei fondatori del monachesimo georgiano nel VI secolo. Questa reliquia nazionale, che, secondo il testo della vita del santo, “fa miracoli fino ad oggi”, ha determinato la venerazione esclusiva dell'immagine non fatta da mani in Georgia (23).

La capacità di riproduzione mistica era un importante tratto distintivo delle immagini miracolose di Cristo. Nel VI secolo, quando Bisanzio ancora non conosceva il santuario di Edessa, l'immagine miracolosa su una tavola del villaggio di Kamuliana in Asia Minore era ampiamente conosciuta. Questo santuario fu trasferito a Costantinopoli nel 574, dove divenne il palladio dell'impero, che fu assunto nelle più importanti campagne militari ed era considerato il vero condottiero dell'esercito cristiano nelle battaglie con gli infedeli (24). Un fazzoletto di lino camuliano con il volto miracoloso di Cristo fu trovato galleggiare in una sorgente da una certa Ipazia, che le attaccò il tessuto miracoloso al copricapo. E poi, dice la tradizione del VI secolo, l'immagine di Cristo è stata misticamente impressa su questa sciarpa. Furono costruite due chiese per immagini miracolose. Inoltre, poco dopo l'acquisizione, fu stilato un elenco speciale dell'immagine camuliana per la chiesa nel villaggio di Diabudin, divenuta anche famosa come miracolosa.

Una simile moltiplicazione delle repliche di Mandylion ebbe luogo a Edessa. Il racconto racconta della prima copia realizzata dall'uomo per il re persiano Khosrow poco dopo il suo infruttuoso assedio di Edessa (Il racconto, 39-42). Secondo questa tradizione, forse riflettendone alcuni fatti storici, la figlia indemoniata di Khosrov dichiarò che solo l'immagine non fatta da mani di Edessa poteva salvarla dal demone. Khosrov, ricordando il miracolo durante l'assedio della città, chiese a se stesso Mandylion. Tuttavia, non rischiando di inviare un vero santuario, gli Edessiani inviarono una copia a Khosrov, "cancellando un'immagine scritta simile in tutto e simile, per quanto possibile, all'immagine scritta non scritta e rendendola il più identica possibile" (Racconto, 40). L'icona dell'elenco risulta essere sufficiente per compiere il miracolo di esorcizzare il demone dalla figlia del re persiano, che restituisce questa immagine artificiale a Edessa insieme ai doni. Come risulta chiaramente dal testo del Racconto (47), l'icona associata a questa leggenda esisteva ad Edessa già nel 943. Probabilmente, l'elenco delle icone miracolose dell'Immagine non fatta da mani poteva essere venerato ad Edessa fin dall'antichità , insieme a Mandylion e Keramiion.

La testimonianza dello storico Evagrius:

“Dicono che la figlia di Chozroes fosse posseduta da un demone, il quale gridò che non l'avrebbe lasciata finché l'immagine di Cristo non fatta da mani non le fosse stata portata da Edessa. Khozroes pregò gli Edessiani di inviargli un'immagine a Ctesifonte, allora capitale della Persia. Gli abitanti di Edessa, non volendo mandare via il loro santuario, ne tolsero una copia dall'immagine, che inviarono al re persiano. Ma non appena gli ambasciatori attraversarono il confine ed entrarono nei confini della Persia, il demone lasciò la ragazza. Felicissimo del recupero di sua figlia, Khosra, in segno di gratitudine per questo, ricompensò gli ambasciatori e rispedì l'icona a Edessa ... ”(storia.)

Un'altra storia sulla creazione di una copia del Mandylion alla fine del VII secolo. sembra più realistico. Risale alla "Storia" non conservata del patriarca giacobita Dionisio di Telmahr (m. 845) (25). Un certo monofisita, Atanasio, che visse a Edessa, divenne estremamente ricco durante il regno del califfo Abd al-Malik (685-705). Una volta prestò alla città 5.000 denari per rendere omaggio agli arabi e prese in pegno l'immagine di Cristo non fatto da mani. Non volendo rinunciare al santuario una volta saldato il debito, Atanasio ordinò una copia esatta del Mandylion, che diede invece dell'originale alla comunità ortodossa di Edessa, che in precedenza aveva posseduto la reliquia: abile pittore e gli chiese di scriverne una copia. Quando il lavoro fu completato, un ritratto apparve il più possibile simile al suo modello. Perché il pittore scuriva i colori in modo tale da sembrare antichi. Qualche tempo dopo, gli Edessiani restituirono l'oro e chiesero la restituzione del ritratto. Diede loro quello appena fatto e lasciò l'antica immagine in casa sua. In seguito svelò il segreto ai fedeli (monofisiti) e costruì un bel santuario battistero. Lo finì spendendo molti più soldi di quanto si aspettasse: li spese in onore dell'immagine, perché sapeva che il ritratto originale inviato con Giovanni tabellara era rimasto a casa sua. Anni dopo portò l'immagine e la depose nel battistero» (26).

È interessante notare che in questo testo siriaco l'immagine non fatta da mani è descritta come un'icona pittorica antica, anche se dai colori tenui e “scuriti”. Un'altra storia interessante è la lotta per il possesso della vera immagine tra le varie denominazioni della città. Come osserva il patriarca siriano giacobita Dionisio, i Calcedoniti (ortodossi) sono proprietari dell'immagine non fatta da mani sin dai tempi dei "re greci" (in questo contesto, dal 578 - l'inizio del regno dell'imperatore Tiberio). E solo cento anni dopo, grazie all'astuzia di Atanasio, la reliquia passò ai Monofisiti.

L'imperatore Costantino Porfirogenito

Altre fonti riferiscono di diverse icone del Mandylion venerate contemporaneamente in diverse comunità cristiane di Edessa. Quanto grave fosse il compito di determinare la vera reliquia, testimonia il racconto dell'imperatore Costantino. Inviato nel 944 a portare la reliquia a Costantinopoli, Avramius, Vescovo di Samosata, temendo di essere ingannato, chiese che tutti gli elenchi dell'immagine non fatta da mani fossero sottoposti all'esame, compresi quelli della Chiesa nestoriana di Edessa: ' non ingannare con l'estradizione e non dare via invece di un'immagine non scritta e vera, scritta un tempo a causa della violenza persiana, li ho trovati entrambi, e con loro l'altro, venerato anche nella chiesa nestoriana, anche, come si trasformò fuori, tratto dal prototipo. Prendendoli per la verifica, li diede subito via, e tolse solo la vera immagine del Signore» (Racconto, 47). Questa storia sorprendentemente specifica, molto probabilmente riferita all'autore del Racconto dallo stesso Abramo di Samosata, mostra chiaramente che in Edessa del IX secolo. c'erano diversi elenchi di icone venerati come l'immagine non fatta da mani. L'istituzione di un vero e proprio santuario richiedeva un serio esame, per il quale, a quanto pare, non fu un caso che non fosse inviato un funzionario di Costantinopoli, ma un vescovo della vicina Samosata.

Miracoli del Mandylion a Edessa

Sarebbe importante raccogliere testimonianze dei miracoli del Mandylion a Edessa, che tradizione bizantina erano percepiti come archetipi in relazione alle successive leggende sulle immagini miracolose. I miracoli più famosi furono la guarigione di Avgar e l'aiuto durante l'assedio persiano. Hanno definito la percezione del Mandylion, da un lato, come una sana reliquia, dall'altro, come un apotropaea - un protettore celeste.

Forse la leggenda più sorprendente sul miracolo risale alle fonti siriane del VII-VIII secolo. (27). Si racconta che un certo personaggio dell'Oriente trafugò l'Immagine non fatta da mani, che era conservata nella chiesa di Edessa. Quando il ladro si fermò per la notte nel monastero dei SS. Cosma e Damiano fuori città, Mandylion si riempì improvvisamente di fuoco e iniziò a bruciare il rapitore. Il ladro gettò la reliquia in un pozzo profondo del monastero e subito una colonna di fuoco discese dal cielo al pozzo. Il Mandylion fu trovato e da quel momento in poi tutti coloro che si lavavano con l'acqua del pozzo ricevettero guarigione, specialmente coloro che, come il re Abgar, erano malati di gotta.

In questa leggenda, i motivi della trama di fuoco e acqua sono particolarmente interessanti. Il Mandylion ardente, ma non ardente, appare già nel Racconto dell'imperatore Costantino in connessione con il miracolo dell'apparizione di Ceramon sotto le mura di Hierapolis (Racconto, 14). Evocava l'immagine biblica del Roveto ardente (Es 3,2) e un fuoco speciale, che denota la presenza di Dio. Anche l'immagine di una colonna di fuoco che scende dal cielo e indica un luogo santo ha origini bibliche (Es 13,21-22; Numeri 14,14; Nefi 9,19; Ap 10,1). Nelle più antiche leggende sulla conversione al cristianesimo (Georgia di S. Nino o Armenia di S. Gregorio l'Illuminatore), una colonna di fuoco segna il luogo dove fu fondata la prima chiesa. Il tema dell'acqua consacrata in connessione con il Mandylion compare già nella "Storia" di Evagrius Scholasticus, dove si narra che durante l'assedio persiano con l'icona consacrata fu data fuoco alla legna da ardere. Troviamo il tema della connessione mistica dell'immagine miracolosa con la sorgente in una precedente leggenda sulla piastra di Kamulian, che galleggiava nell'acqua, ma allo stesso tempo rimase asciutta. L'ubicazione o l'apparizione accanto all'icona miracolosa di una sorgente curativa è un topos stabile della cultura bizantina, di cui uno dei primi esempi è la leggenda di Edessa su un pozzo che iniziò a fare miracoli dopo il contatto con Mandylion (28).

La venerazione liturgica dell'immagine non fatta da mani

Un tema speciale di ricostruzione storica è la venerazione liturgica dell'immagine non fatta da mani a Edessa. Tra le prime testimonianze vi è la prima epistola di papa Gregorio II, citata negli Atti del VII Concilio Ecumenico del 787. Si dice che per adorare l'immagine non fatta da mani a Edessa, «i popoli dell'Oriente accorrono in moltitudini e portate preghiere» (29). La Vita di sant'Eutimio di Sardi, scritta nell'831, testimonia il culto di massa della reliquia ad Edessa a cui partecipò sant'Eutimio alla fine dell'VIII secolo. nell'ambasciata imperiale presso il Califfato arabo e, con le sue stesse parole nella Vita, “... visto infatti che ad Edessa, la più saggia e venerabile delle città, una nostra icona fedele e non scritta per amore di Figlio di Dio incarnato, mi sono inchinato ad essa insieme a molte persone» (30). Sul fatto che l'Immagine non fatta da mani, una volta inviata da Cristo ad Avgar, “adora ancora tutta Edessa” all'inizio del IX secolo. riporta "Cronaca di Giorgio Amartolo" (31).

È interessante notare che il racconto dell'imperatore Costantino non dice nulla sui servizi divini del Mandylion. Forse ciò è dovuto al fatto che contemporaneamente al Racconto, intorno al 944, una speciale “Parola sull'icona santa e non fatta da mani di Gesù Cristo nostro Dio, così come fu onorata nella città di Edessa dai suoi abitanti ” è stato scritto (32) (di seguito, la Parola). Nei manoscritti bizantini segue spesso subito dopo il Racconto e, a quanto pare, fu creato anche per ordine di Costantino Porfirogenito in connessione con la necessità di creare nuove celebrazioni liturgiche per il Mandylion a Costantinopoli. La parola contiene dettagli unici del culto dell'immagine non fatta da mani, che si svolgeva nella "chiesa di Edessa" (il tempio principale?) sia nei giorni ordinari che nella festa del Trionfo dell'Ortodossia (la vittoria dell'icona venerazione nell'843).

Secondo questo testo, per la maggior parte dell'anno, il Mandylion era conservato nello skevophylakion (vaso, tesoro del tempio). Fu posto in una speciale custodia per icone con porte che si chiudevano con sottili serrature di ferro. Due volte alla settimana, il mercoledì e il venerdì, i credenti potevano contemplare e offrire preghiere a un santuario chiuso, ma nessuno poteva "né avvicinarsi, né toccare con le labbra o con gli occhi la sacra immagine". Solo una volta all'anno, il mercoledì durante la "Settimana di mezzo" della Grande Quaresima, l'unico vescovo, come il sommo sacerdote dell'Antico Testamento, poteva entrare nell'altare e aprire il kiot. "Con una spugna inviolabile immersa nell'acqua", lavò il Mandylion e l'acqua consacrata spremuta dalla spugna fu distribuita ai credenti che le strofinarono gli occhi e ricevettero la purificazione.

La prima domenica della Grande Quaresima (la festa del Trionfo dell'Ortodossia), si è svolta una litiya speciale: una processione religiosa con un'icona. In skevophylakia, il Mandylion faceva affidamento su un trono speciale ed era coperto "da tutti i lati" con un panno bianco. Quattro vescovi o sacerdoti, alzando il trono con l'icona, camminavano dietro al vescovo, che portava la croce nelle sue mani. Scettri d'oro erano portati su entrambi i lati del vescovo, e dietro di loro c'erano 12 ripide e lo stesso numero di incensieri e lampade. Durante la processione, il vescovo si è fermato e ha messo in ombra il popolo con la croce, che ha esclamato: “Signore, abbi pietà!”. All'ingresso della processione in chiesa, il vescovo ha oscurato ancora una volta il popolo con la croce "a est, a destra e a sinistra". Quindi l'icona sul suo trono fu installata nell'altare del tempio a est dell'altare maggiore "durante un altro pasto, più piccolo, ma fortificato più in alto". Solo il vescovo aveva il diritto di avvicinarsi e baciare l'icona, dopo di che avrebbe cambiato la veste bianca dell'icona "per un'altra, dipinta di viola". Al termine del servizio divino, il “trono divino”, accompagnato dalla stessa processione, tornava allo skevophylakion.

"Transfer Word" non dà solo un unico descrizione dettagliata processione liturgica con icona miracolosa, che non ha analoghi nelle fonti bizantine, ma è anche uno speciale commento liturgico. L'autore altamente dotto offre un'interpretazione simbolica di quasi tutti gli elementi principali del rito. Utilizza i precedenti commenti liturgici di Sofronio di Gerusalemme, Massimo il Confessore e Germano di Costantinopoli. Tuttavia, le interpretazioni dei tratti più originali del rituale sono del tutto indipendenti. Così, spiega l'uso di coperture multicolori: il bianco simboleggia l'eternità di Dio e la luce divina, mentre questo ignoto liturgista bizantino intende il porfido come l'incarnazione dell'essenza invisibile e ineffabile di Dio, nello spirito della teologia apofatica di Dionisio l'Areopagita. Difficile dire quanto il rito edessa descritto corrisponda alla pratica del culto bizantino che si era sviluppata a partire dalla metà del X secolo, ma sembra probabile che possa aver avuto una notevole influenza sullo sviluppo delle processioni liturgiche con icone . Vorrei richiamare l'attenzione sulla pratica di chiusura dell'immagine sacra, che sarà ereditata dal culto costantinopolitano del Mandylion, e su tutta la successiva tradizione di venerazione delle icone miracolose.

Il Mandylion e la protezione del culto delle icone

La popolarità di Mandylion crebbe gradualmente durante il VII secolo, diffondendosi da est a ovest. A Bisanzio, la gloria del Mandylion è associata al periodo dell'iconoclastia (730-843), quando l'icona di Edessa - l'"icona creata da Dio", misticamente apparsa per volontà di Cristo stesso - divenne uno degli argomenti dell'icona adoratori nelle loro dispute con gli oppositori delle immagini sacre (33).

Troviamo riferimenti al Mandylion due volte negli scritti di Giovanni di Damasco (d. 749). Nell'Esatta Dichiarazione della Fede Ortodossa, ripete brevemente la storia a noi nota dalla prima tradizione del Racconto: splendente splendore del Suo Volto, poi il Signore Stesso, dopo aver applicato l'imitazione al Suo Volto divino e vivificante, impresso La sua immagine sull'imitazione e in questa forma l'ha inviata ad Abgar, che l'ha fortemente desiderata ”(34). L'autore fa un'importante aggiunta che l'artista non ha potuto raffigurare Cristo "a causa dello splendore splendente del suo Volto". Questa immagine di un volto radioso ha successivamente avuto una notevole influenza sui testi liturgici associati al Mandylion. Degno di nota è anche il contesto in cui Giovanni da Damasco cita la tradizione dell'Immagine di Edessa. Agisce come una prova importante e per molti versi unica dell'antica pratica del "Nuovo Testamento" di creare icone, di cui nulla è detto nelle Sacre Scritture. Nel capitolo "Sulle icone" di questo importantissimo trattato teologico, l'Edessa Mandylion è l'unico e più importante esempio di una specifica immagine di icona.

Nelle sue “parole difensive” sulle icone sacre, Giovanni da Damasco cita il racconto dell'immagine non fatta da mani come commento al ragionamento di Dionisio l'Areopagita sull'elevazione delle menti dalle immagini sensuali alla contemplazione divina (35). Ecco un altro tema che sarà sviluppato nei successivi testi liturgici. Mandylion, creato dalla divina provvidenza "filantropica", ti permette di contemplare sensualmente il Signore invisibile.

Negli “Atti del VII Concilio Ecumenico” (787), che restaurarono la venerazione dell'icona, l'immagine non fatta da mani è citata più volte, anche nella già citata lettera di papa Gregorio II, che riportava la diffusa venerazione dell'icona in Edessa (36). La comparsa della leggenda su Mandylion in questo documento non sembra casuale. I papi erano ben informati sul santuario di Edessa. Secondo papa Adriano al Concilio del 769 a Roma, papa Stefano (752-757) ascoltò la storia dell'immagine non fatta da mani da viaggiatori provenienti dall'oriente (37). A quanto pare, già nell'VIII sec. l'autorità della reliquia era molto alta. Ciò è confermato dall'elenco greco recentemente pubblicato delle nove principali immagini miracolose dell'Oriente e dell'Occidente, che ci è pervenuto in un manoscritto del X secolo. dal veneto Marciana (Marc. Gr. 573) (38). L'elenco faceva parte del cosiddetto Florilegium, una raccolta di testimonianze sulla venerazione delle immagini sacre, compilata probabilmente per uno dei papi dell'VIII secolo. L'immagine-reliquia, venerata nella città di Edessa, rivela alcuni dei più importanti santuari della cristianità: “A Edessa abbiamo [un'immagine] donata da Cristo stesso all'artista Avgar, che tentò con fede, secondo testimonianze scritte , per dipingerlo” (39). Si richiama l'attenzione sull'alto stato della leggenda, di cui ci sono prove scritte ben note.

Mandylion è menzionato anche in scritti greci meno noti dell'VIII secolo, che circolavano nell'ambiente monastico, particolarmente dedicati alla venerazione delle icone. L'autore dell'“Istruzione dell'anziano sulle icone sacre” espone in dettaglio la tradizione dell'immagine non fatta da mani a Edessa, riferendosi a una certa storia di padre Efraim (Sirina?): è muta per tutto il terra, e tutte le nazioni si meravigliarono. E un re, di nome Abgar, spinto dallo zelo divino a vederlo, non poté farlo perché lui stesso era siro. E gli mandò i suoi messaggeri con tale richiesta: "Vieni a noi, perché abbiamo sentito parlare dei tuoi grandi miracoli che fai tra i Giudei. Vieni a noi, affinché crediamo che tu sei la luce e la gloria delle nazioni ." Il Signore dice loro: "Io non sono stato mandato a nessun altro che alla casa d'Israele". E il re disse loro: "Se viene, molto bene, altrimenti portami un'immagine esatta del suo aspetto, affinché io possa dirigere a lui il mio amore". E avendo lavorato sodo, non potevano raffigurare il Suo santo aspetto. Vedendo la loro fede, Cristo, nostro Signore e Salvatore, prese il sindon e lo applicò con le sue stesse mani al suo volto immacolato, in modo che la sua immagine immacolata apparisse senza legno e senza colori. E lo diede agli inviati del re Abgar e benedisse sia loro che il re e la città, ponendone le fondamenta, come dice nostro padre Efraim nel suo testamento, e questa storia non è falsa ”(40).

V scienza moderna l'evidenza di Mandylion risalente al primo iconoclastia è talvolta considerata come un'interpolazione successiva introdotta nei testi più autorevoli sia prima che dopo la vittoria dell'iconoclastia nell'843 (41). Non c'è accordo tra i ricercatori su questo tema, può essere abbastanza difficile confermare o confutare giudizi critici a causa della mancanza di testi accuratamente datati. Tuttavia, non c'è praticamente dubbio che all'inizio del IX secolo. L'Edessa Mandylion e la sua storia erano ampiamente conosciuti a Bisanzio (42). In quest'epoca, nei suoi trattati teologici contro gli iconoclasti, il patriarca Niceforo (806-815) (43) parla più volte dell'immagine di Edessa. Di lui racconta la “Vita di S. Eufemia” ed è riportato nella corrispondenza di Teodoro Studita (lettera 409, 818-819).

Di fondamentale importanza è il “Messaggio dei Tre Patriarchi d'Oriente”, dove l'Icona di Edessa è inserita nel contesto degli argomenti più importanti degli iconoduli e in cima alla lista delle 12 icone miracolose più importanti (44). Una tradizione sufficientemente dettagliata, consacrata sia dalla forma di un decreto conciliare che dall'autorità degli autori - i patriarchi di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, divenne una delle più importanti fonti di informazioni sul Mandylion a Bisanzio nel IX secolo, che fu utilizzato anche come documento storico dall'autore del "Racconto dell'imperatore Costantino" per circa cento anni dopo.

È interessante notare che la versione più antica di questo testo - la cosiddetta "Epistola a Teofilo" di Pseudo-Damaskin, apparentemente risalente al messaggio originale dell'836, menzioni solo cinque icone miracolose e sia data la storia dell'icona di Edessa terzo dopo la notizia dell'icona della Madonna dell'Evangelista Luca e dei racconti della Madonna della Lidda (45). A nostro avviso, questa differenza nella gerarchia delle trame non è casuale. Per diversi decenni del IX secolo. quando è stata compilata la versione finale dell'Epistola, la tradizione dell'immagine non fatta da mani è stata assolutamente riconosciuta e il suo status di icona originale è incrollabile.

Confrontando le versioni delle leggende, possiamo notare che il contenuto nelle due versioni praticamente non cambia. Risale alla cosiddetta “seconda storia” dell'emergere del Volto Santo, che non cita l'artista inviato da Avgar, e l'immagine sulla lavagna compare durante la preghiera nell'orto del Getsemani (Racconto, 16-22 ). L'immagine sull'asciugamano (soudarion) apparve come un'impronta del sudore divino: “Quando si asciugò il sudore dal viso pulito con le sue mani sante, l'immagine della sua santa immagine fu immediatamente impressa su questa tela. E i suoi lineamenti assolutamente esatti, come se fossero a colori, erano rappresentati dalla sua azione divina. E va detto che la sua immagine divina rimase immutata sulla tela miracolosa» (46). L'apostolo Taddeo consegnò l'icona non fatta da mani al re Abgar, che vide in essa Cristo "riflesso come in uno specchio". Alcuni dettagli caratteristici sono importanti anche nella leggenda. Così, ad esempio, si dice che «è proprio questa santa impronta che la famosa e gloriosa Edessa possiede ancora, come uno scettro regale. Si vanta ed è fiera di lui, perché Cristo, nostro vero Dio, mostra al popolo segni e prodigi, avendo qui mostrato tanta grazia»(47). Il "Messaggio dei Patriarchi d'Oriente" sottolinea la connessione del Mandylion come "impronta di sudore" con la Passione del Signore, l'idea di numerosi miracoli e il tema del potere. Il possesso della più grande reliquia di Cristo, paragonata allo "scettro regale", è segno di potere supremo.

Quest'ultima idea era particolarmente attraente per gli imperatori bizantini, che si proclamavano vicari di Dio sulla terra. Il possesso dell'icona originaria e della reliquia originaria di Cristo potrebbe diventare una visibile conferma dei loro diritti esclusivi. A questo proposito, è significativo che l'istituzione della venerazione dell'icona e della glorificazione delle immagini sacre dopo l'843 abbia costituito la base dell'ideologia degli imperatori della dinastia macedone, che raccolsero reliquie e immagini miracolose da tutto il mondo cristiano a Costantinopoli ( 48).

Trasferimento del Mandylion da Edessa a Costantinopoli

In questo contesto storico, l'acquisizione del famoso Mandylion - la più importante reliquia di Cristo, che finì sul territorio del Califfato arabo e quindi, per così dire, affascinato, sembrava un compito di importanza statale e politica. La storia del 944 racconta i ripetuti sforzi dell'imperatore Romano Lecapenus (920-944) per salvare l'immagine non fatta da mani e la lettera di Cristo ad Abgar. Infine, l'emiro di Edessa accettò di consegnare i santuari alle seguenti condizioni: l'imperatore garantiva la sicurezza delle città di Edessa, Haran, Saroczi e Samosata, liberava 200 prigionieri e pagava 12.000 monete d'argento (Racconto, 44-46 ) (49). Gli storici bizantini confermano i dati del Racconto e individuano come condizione principale per ottenere una reliquia le garanzie di sicurezza fornite dall'imperatore. Nella “Biografia di Romano I”, testimonia il successore di Teofano: “Gli abitanti di Edessa, in cui è custodita la preziosa immagine di Cristo, portati alla disperazione dall'esercito romano che assediava la città, inviarono ambasciatori presso lo Zar Romano e chiesero di sollevare il assedio, promettendo di dare la preziosa immagine di Cristo. In cambio di questo dono, chiesero di restituire loro i loro prigionieri tra i nobili, nonché di concedere loro khrisovul con la promessa che l'esercito romano avrebbe smesso di devastare la loro terra” (50).

Abramo, Vescovo di Samosata, fu inviato per l'Immagine non fatta da mani e per la Lettera di Cristo. Superata la resistenza degli Edessiani, che non volevano separarsi dai loro "amuleti", e stabilito il vero "Non fatto da mani", portò le reliquie fuori dalla città. Secondo il Racconto scritto da un contemporaneo, il lungo e solenne viaggio verso la capitale bizantina fu accompagnato da numerosi segni, miracoli e predizioni. Il primo miracolo fu che la nave con le reliquie, senza l'aiuto dei rematori, “guidata da una sola volontà divina”, attraversò l'Eufrate. Toccando la bara con le reliquie e anche alla sola vista di essa, i ciechi riacquistarono la vista, le mani zoppe e appassite si ripresero, il paralitico cominciò a camminare (Racconto, 48-52).

L'autore del Racconto, vicino all'imperatore Costantino, racconta di una profezia miracolosa avvenuta nel Monastero Eusebio di Nostra Signora (Theotokos tou Eusebiou), dove durante il tragitto si fermò l'ambasciata. Un indemoniato si avvicinò alla bara con l'icona non fatta da mani, che era esposta nella chiesa del monastero, e predisse l'inizio del regno unico dell'imperatore Costantino, che associava all'arrivo del santuario di Edessa nella capitale : “Ricevi, Costantinopoli, gloria e gioia, e tu, Costantino Porfirogenito, il tuo regno” (Racconto, 53). Dopo queste parole, l'indemoniato fu guarito. Comprendendo la natura fatidica di questo episodio, l'autore del Racconto, scritto già durante il regno di Konstanin Porfirogenito, indica molti testimoni. Infatti, oltre a un nutrito gruppo di vescovi locali che accompagnavano lo scrigno con le reliquie, nel Monastero di Eusebio vi sono ranghi superiori giunti da Costantinopoli, accompagnati da distaccamenti militari. L'Immagine non fatta a mano viene accolta come un imperatore reduce da una lunga campagna vittoriosa. Anche gli storici bizantini sottolineano questo punto: "Quando la santa immagine o volto di Cristo fu portato a Costantinopoli, il patrizio e parakimomen Teofane si recò al fiume Sangar, dove lo incontrò con lampade scintillanti, giusto onore e canti" (51).

Di grande importanza storica è la descrizione del trasporto trionfale del Mandylion a Costantinopoli, di cui ci sono pervenute notizie sia nel Racconto dell'imperatore Costantino (56-65), sia in alcune altre fonti (52). Mandylion raggiunse la capitale il 15 agosto 944, poiché quel giorno era la festa dell'Assunzione della Madre di Dio. Lo scrigno con le reliquie fu portato nella chiesa principale della Madre di Dio a Blacherne a Costantinopoli (nel remoto angolo nord-occidentale della città vicino alle mura), dove fu collocato nella "chiesa superiore" ("sacro gabinetto"?) (53). Gli imperatori, che si trovavano a Blacherne, in occasione della festa, adoravano e baciavano l'urna (54). Quindi, accompagnato da soldati e molte lampade, lo scrigno fu trasferito alla trireme imperiale, che navigava lungo le acque del Corno d'Oro fino al Gran Palazzo Imperiale, e le reliquie furono trasferite nella chiesa del palazzo di Nostra Signora di Pharos.

I festeggiamenti principali si sono svolti il ​​giorno successivo, 16 agosto. I giovani imperatori (Konstantin Porphyrogenitus e due figli di Romanos Lecapenus) “con salmi, canti e abbondanti illuminazioni” caricarono nuovamente le reliquie sulla trireme imperiale e navigarono con esse lungo le mura di Costantinopoli (55). L'autore del Racconto spiega in modo specifico il senso dell'azione: si tratta di un protettivo “cintura mistica della città” mediante il potere delle sacre reliquie (Il Racconto, 57), simile al cammino di Eulalio con il neo acquisito Mandylion lungo il mura di Edessa.

L'azione affonda le sue radici anche nella tradizione costantinopolitana del VI-IX secolo, quando i patriarchi, durante gli assedi della città, giravano intorno alle mura con i santuari più importanti della capitale: l'Albero della Croce, la Veste del Madre di Dio, la sua icona e qualche immagine miracolosa di Cristo (56). Durante il più famoso assedio della capitale bizantina da parte degli Avari nel 626, il patriarca Sergio portò sulle mura di Costantinopoli l'icona miracolosa di Cristo - evento che fu inteso a Bisanzio come il rito simbolico più importante, senza dubbio ben noto all'autore di il racconto. Secondo il sermone di Theodore Sinkell, pronunciato appena un anno dopo la miracolosa salvezza, “come Mosè, che una volta aiutò il suo popolo a vincere la battaglia con gli Amalchiti, alzando le mani, così il nostro nuovo Mosè (patriarca) elevò nelle sue mani purissime l'immagine di Dio Figlio, che i demoni temono: si dice che sia stato miracoloso (acheiropoieton). Non ha avuto bisogno di sostegno materiale dopo che Cristo si è lasciato crocifiggere in nome del mondo. Come arma invincibile, portò questa immagine lungo tutte le mura della città» (57). Si può intuire che nella mente dei bizantini, la città circostante di Mandylion, per così dire, sostituì l'antico santuario glorificato dell'"Immagine miracolosa di Cristo" dell'inizio del VII secolo, che nel 944 non esisteva più in Costantinopoli.

L'atto successivo del sacro rituale fu l'ingresso in città attraverso la Porta d'Oro. Raggiunto via mare il confine occidentale della città, il corteo con le reliquie di Edessa passava lungo le mura fino alla porta principale, che, come le antiche porte di Gerusalemme, era chiamata “d'oro” (58). Allo stesso tempo, il Racconto paragona lo scrigno con le edicole alla “nuova arca”, che permette di comprendere il disegno simbolico dell'intera processione. L'immagine del vero re Davide avrebbe dovuto sorgere nella memoria, "con esclamazioni e suoni di tromba" trasferendo l'arca a Gerusalemme, la città di Davide (2 Re 6:2-18). È interessante notare che l'immagine del re Davide, che porta l'arca, come uno dei topoi più importanti sarà inclusa nel servizio ortodosso della festa del 16 agosto (59).

In questo contesto acquistò particolare rilevanza il tema gerosolimitano della Porta d'Oro, attraverso il quale, secondo la leggenda, sarebbe dovuto entrare il Messia, apparso per salvare il mondo. L'ingresso dell'immagine non fatta da mani, identificato con Cristo stesso il Messia, era chiamato ad affermare l'idea di Costantinopoli come la Nuova Gerusalemme e la città eletta della salvezza. Entrando dalla Porta d'Oro, si creava un circolo un po' diverso di associazioni, legate al tema dei trionfi imperiali che qui ebbero luogo (60). Cristo nell'immagine non fatta da mani torna nella sua città, come l'imperatore supremo e l'eterno conquistatore. È interessante notare che la tradizione del ritorno trionfale della reliquia ebbe una sua storia: così l'imperatore Eraclio restituì a Gerusalemme la glorificata reliquia della Santa Croce, conquistata dai Persiani nel 630 (61) - evento ricordato annualmente da la Chiesa Ortodossa nella festa dell'Esaltazione della Croce (62). I Bizantini erano anche a conoscenza di processioni trionfali con immagini miracolose di Cristo. Durante il regno di Giustiniano, tra il 554 e il 560, l'immagine camuliana fu portata in giro per le città dell'impero. L'autore della cronaca siriana del 569 che riporta ciò descrive il corteo come un trionfo imperiale (adventus), che egli, a sua volta, interpreta come un prototipo simbolico della Seconda Venuta (63).

Dal Golden Gate, una processione nazionale con il canto di salmi e inni è andata alla chiesa principale di Hagia Sophia. Il colossale corteo si è spostato lungo la via principale della Mesa attraversando l'intera città. Come osserva un testimone oculare e l'autore del Racconto, le folle radunate di persone credevano “che per questo la città sarebbe stata onorata di santificazione e maggiore forza e sarebbe stata preservata per sempre illesa e inespugnabile” (Racconto, 59). Il tema dell'imprendibilità era direttamente connesso con la leggenda dei miracoli di Mandylion alle mura di Edessa e la nota promessa dell'inviolabilità della città nelle ultime righe della lettera di Cristo ad Abgar. A conferma della natura divina di quanto stava accadendo fu il miracolo della guarigione dei paralizzati, che si ripresero da uno sguardo allo scrigno con le edicole. È interessante notare che la storia della guarigione miracolosa è data come una sorta di garanzia di salvezza futura.

Antica immagine genovese

Entrando nella chiesa di Hagia Sophia, l'immagine non fatta da mani e la lettera ad Abgar sono state deposte sull'altare e un servizio speciale è stato svolto in loro onore. Dalla Chiesa Grande, la processione con le reliquie si dirigeva al vicino Gran Palazzo Imperiale, dove nella sala principale dei ricevimenti (Chrysotriclinium) le reliquie furono nuovamente accolte dall'“imperatore anziano” Roman Lekapin, che, a causa di una malattia, non poté partecipare alla feste cittadine. In Chrysotriclinia si compie uno dei riti più importanti dell'intera celebrazione.

traslazione - L'immagine miracolosa di Cristo è posta sul trono imperiale, «non credendo sconsideratamente che Egli, in verità, santifica il trono regale, e introduce coloro che vi siedono alla giustizia e alla mite bontà» (Racconto, 63).

Il citato commento dell'autore del Racconto può essere significativamente integrato, basato sulla conoscenza delle realtà bizantine. Il mandylion sul trono imperiale principale incarnava l'ideologia chiave di Bisanzio: Cristo è il vero sovrano dell'impero, il cui unico viceré sulla terra è l'attuale imperatore. Nel rito del trasferimento del Mandylion, questo pensiero fondamentale assunse una realtà mistica. È noto che un'immagine a mosaico di Cristo in trono, restaurata dopo la vittoria degli iconoduli nell'856-866, fu posta sopra il trono di Christriklinius. (64) Nel suo libro Sulle cerimonie, Konstantin Porfirogenito osserva che gli imperatori pregavano sempre davanti a questa icona quando partivano per Santa Sofia e tornavano al palazzo, esprimendo "umiltà servile e riverenza per il Re dei re" (65). Fu l'icona principale dell'impero, nei secoli IX-X. raffigurato su monete d'oro come simbolo di stato. Il mandylion, posto su un vero trono il 16 agosto 944, componeva un'unica composizione con questa icona musiva del “Cristo in Trono”. Le immagini miracolose e artificiali di Cristo si unirono in un tutto, arricchendosi a vicenda di significati aggiuntivi. Il tema trionfante del Cristo sul trono si trasformò naturalmente in un ricordo del sacrificio espiatorio, incarnato nel Mandylion come impronta di sudore sanguinante. Si può ricordare che prima dell'apparizione a Chrysotriclinio, l'ultimo luogo di residenza dell'Immagine non fatta da mani era l'altare, molto probabilmente il trono maggiore di Sofia di Costantinopoli. Il trasferimento del Mandylion dal santo pasto al santo trono collegava simbolicamente i due troni più importanti, segnando la doppia unità del sacerdozio e del regno, manifestata visibilmente attraverso l'immagine di Cristo non fatto da mani.

A Chrysotriclinia, davanti al Mandylion sul trono, è stata eseguita una "preghiera di supplica", dopo di che è stato finalmente trasferito nel tempio del palazzo di Nostra Signora di Pharos, dove trova il suo posto permanente.

Il movimento complesso e a prima vista persino confuso del Mandylion intorno alla città avrebbe dovuto collegare misticamente tutti i più importanti centri sacrali della capitale bizantina, creare l'immagine di una città composta da templi e palazzi sacri inseparabili da essi e, infine, presente un'icona spaziale della Gerusalemme celeste. A questo proposito, è significativa l'ultima petizione rivolta a Mandylion del "Racconto dell'imperatore Costantino": "Mantieni non assediata questa regina delle città e concedi a noi, che abbiamo gradito il tuo Antitipo, Cristo nostro Dio, di essere accolti nel Regno dei Cieli .”

Mandylion a Costantinopoli. 944-1204

La posizione del Mandylion nella Chiesa di Nostra Signora di Pharos era tutt'altro che casuale. Questo piccolo tempio, situato nelle profondità del Grande Palazzo dietro il Chrysotriclinio, era una speciale chiesa reliquiario dove gli imperatori bizantini conservavano i loro santuari principali (66). Nel 944 si trovavano nella chiesa le più importanti reliquie delle passioni (tra cui l'Albero della Croce, la Corona di Spine, i Chiodi della Croce della Crocifissione, la Porpora di Cristo), che, secondo il racconto della Primaria Cronaca, nel 912 l'imperatore Leone il Saggio mostrò agli ambasciatori russi come l'incarnazione della "vera fede" (67).

Mandylion completò una serie di appassionate reliquie (68). Da pochissime fonti sappiamo che, insieme a selezionate reliquie della Passione, Mandylion lasciò più volte la chiesa di Pharos. Come affermato nella "Storia" di Georgy Kedrin, durante il suo matrimonio con Michele IV (1034-1041), l'imperatrice Zoya inviò reliquie alla chiesa di Pharos, vale a dire l'Albero della Santa Croce, il Mandylion, la Lettera di Cristo ad Abgar e l'icona della Madre di Dio, al patrizio ribelle Costantino Dalassin a garanzia del suo sicuro ritorno a Costantinopoli. Incontriamo qui una particolare pratica bizantina, quando le principali reliquie dell'impero in una situazione politica acuta vengono usate come garanzia. I santuari servivano come una sorta di garanti del giuramento, il loro enorme valore materiale e il loro inestimabile significato spirituale erano chiamati a confermare la promessa imperiale, che però, in questo caso particolare, non fu adempiuta (69).

L'arca con il Mandylion, insieme ad altre reliquie della chiesa di Pharos, potrebbe essere portata fuori per partecipare a speciali processioni liturgiche. Durante il regno dello stesso Michele IV nel 1037, ci fu una terribile siccità di sei mesi, nel tentativo di prevenire una catastrofe, l'imperatore organizzò una litia-processione con una preghiera per la pioggia dal Gran Palazzo alle Blacherne. Allo stesso tempo, il Mandylion fu solennemente trasportato attraverso l'intera città dal tempio-reliquiario di Nostra Signora di Pharos a un altro tempio-reliquiario principale a Blachernae, anch'esso dedicato a Nostra Signora, protettrice permanente e protettrice di Costantinopoli (70). Le reliquie erano in preziose arche, che i fratelli dell'imperatore portavano sulle mani.

Miniatura del XII secolo. dal manoscritto madrileno della Cronaca di Giovanni Skylitzes (fol. 210v) coglie questo importante evento storico (71). Il testo del manoscritto in alto e in basso della miniatura annuncia: “I fratelli di Basileus misero in scena una litania. Giovanni portava il Santo Mandylion (agion mandylion), il grande domestik - il Messaggio di Cristo ad Avgar, Protovestiarius George portava i sacri sudari (agia spargana). Hanno camminato a piedi dal Grande Palazzo alla Chiesa della Santissima Theotokos a Blachernae. E qui il patriarca ha svolto il secondo servizio. Tuttavia, non ha iniziato a piovere". Sulla miniatura del "Madrid Skylitzes" in testa al corteo, in direzione della Chiesa delle Blacherne, camminano due persone in lunghe camicie che ricordano le cotte. Portano croci processionali su lunghi pali, apparentemente comprese le reliquie dell'Albero Santo. Dietro di loro ci sono tre figure (i fratelli dell'imperatore citati nel testo) con cofanetti reliquiari su mani coperte. I vescovi sono raffigurati dietro i membri della famiglia imperiale, indicando la natura liturgica della cerimonia, e poi il popolo in preghiera. Come il miniatore e il testo del manoscritto lasciano intuire, la prima delle arche contiene il Mandylion. L'immagine non fatta da mani, come un tempo nella processione del transfert del 944, collega i più importanti centri sacrali del capoluogo bizantino. Cristo, che risiede nel miracoloso Mandylion, viene solennemente e servilmente portato nello spazio della città. I membri della famiglia imperiale, portando a piedi l'icona Non fatta da mani, dimostrano la loro obbedienza al vero sovrano e supremo protettore, che santifica il mondo cristiano, privo di siccità, con la sua presenza.

È significativo che le particelle del Mandylion, tra le altre reliquie della Passione e dei santi, potessero essere investite in reliquiari imperiali particolarmente preziosi, che furono inviati come il più alto dono ai sovrani stranieri. Uno di questi reliquiari, creato a Costantinopoli nel XII secolo, fu inviato in Russia ed è ora conservato nell'Armeria del Cremlino di Mosca (72). La parte posteriore dell'icona encolpia del torace con un'immagine a smalto della "Discesa agli inferi" è decorata con un'iscrizione greca che elenca le reliquie all'interno di questo reliquiario. Accanto al Chitone, alla Chlamys, alla Lention, alla Sindone, alla Corona di Spine e al Sangue di Cristo, viene menzionata anche una “parte del Mandylion”. La collezione di reliquie, che includeva le reliquie di santi selezionati, indica i santuari della chiesa di corte Pharos e l'imperatore bizantino come l'unico possibile cliente per la preziosa encolpion. Solo per sua volontà una particella sacra poteva essere separata dal tabellone con l'immagine non fatta da mani. È interessante notare che il compilatore di questa collezione unica di reliquie, a quanto pare, avesse in mente la storia speciale di Mandylion. Le reliquie comprendono tre rare reliquie dell'apostolo Tommaso, la cui venerazione era legata al culto dell'immagine non fatta da mani a Edessa (73). L'iscrizione sull'encolpia del Cremlino di Mosca ci permette di vedere un aspetto speciale nella venerazione vivente della reliquia dell'immagine non fatta da mani, di cui altre fonti storiche tacciono.

Cosa sappiamo della venerazione del Mandylion nel Gran Palazzo Imperiale? Inizialmente era collocato nella chiesa di Pharos a destra dell'altare (nella navata meridionale o nell'abside?) ed era probabilmente disponibile per la contemplazione e il culto. Un episodio espressivo è giunto fino a noi nella Vita di S. Paolo di Latra, compilato poco dopo la sua morte (955) (74). San Paolo chiese all'imperatore Costantino Porfirogenito di attaccare un pezzo di stoffa al Mandylion e di inviarglielo. Mentre tutto il popolo non vedeva altro che il tessuto, San Paolo distinse il volto del Salvatore misteriosamente mostrato su di esso. La storia è interessante come esempio della creazione di una reliquia secondaria toccando l'originale - un rito, forse che riflette la pratica consolidata di Costantinopoli. L'episodio è degno di nota non solo per l'indicazione della possibilità di toccare il Mandylion nel tempio reliquiario, ma anche per il desiderio nel X secolo. richiamano l'antica tradizione della riproduzione miracolosa dell'immagine non fatta da mani, quella stessa capacità di contemplazione che è già associata alla santità.

Che aspetto aveva il Mandylion portato da Edessa? Purtroppo non ci è pervenuta una sola descrizione chiara, tuttavia, ciò che si sa ci permette di farci un'idea. Nel Racconto dell'imperatore Costantino, compilato da un uomo che vide il Mandylion, si dice che Avgar appoggiò il tessuto di lino sulla tavola, "decorandolo con l'oro che è ancora visibile" (stipendio d'oro?), e scrisse le parole " Cristo Dio, che spera in te, non perirà» (Racconto, 25), posto, molto probabilmente, sul salario. Molto importante è la testimonianza del Racconto sulla riflessione di Abgar sul fatto che l'immagine non fatta da mani sia stata realizzata con "colori materici", e il racconto dell'apostolo Taddeo su "un'immagine senza colori dal sudore" (Racconto, 21). Apparentemente, erano direttamente correlati all'impressione del volto di Cristo sul Mandylion a metà del X secolo, cosa confermata anche da altre fonti.

Di particolare rilievo è il “Sermone di Gregorio Referendario sulla Portata dell'Icona di Edessa”, di recente pubblicazione, scritto, come indica il titolo stesso del testo, dopo il 944 (75) L'autore, “arcidiacono e referendario della Grande Chiesa di Costantinopoli” (S. Sofia), fu inviato dall'imperatore a Edessa per studiare tutti i documenti relativi all'immagine non fatta da mani. Nella sua descrizione del Mandylion, afferma che l'immagine «fu sigillata con gocce di sudore dal volto agonizzante dell'Autore della vita (At 3,15), che caddero come gocce di sangue (Lc 22,44), e con il dito di Dio (Es 8,15) . Queste furono le uniche decorazioni che fiorirono la vera impronta di Cristo, ornata di gocce che sgorgavano dal suo stesso fianco. Entrambi sono pieni di insegnamento: qui c'è sangue e acqua, c'è sudore e forma. Che somiglianza! Poiché queste cose provenivano dallo stesso Uno. Ma la sorgente dell'acqua viva deve essere vista anche nella sua immagine, ed egli, insegnando, dona l'acqua con l'umidità del sudore che forma il viso, che trasuda ogni corpo. Come una sorgente che sgorga, per così dire, da vasi che inumidiscono l'albero della vita...» (76).

Purtroppo il testo citato di Gregorio Refendarius, che indubbiamente vide la reliquia, non può essere considerato un parere di esperti. Questo è un sermone della chiesa, carico di complesse metafore inerenti agli scritti retorici bizantini. L'evidenza del legame del Mandylion con le sofferenze della Croce non va presa alla lettera. In misura maggiore, questo è un omaggio al simbolismo eucaristico del Mandylion e una delle antiche tradizioni sulla creazione dell'Immagine Non Fatta dalle Mani sulla lavagna con gocce di sudore che cadevano come gocce di sangue durante la preghiera di Cristo nella Giardino del Getsemani (Racconto, 17). Tuttavia, la testimonianza di Gregorio di Refendarius sull'insolita immagine, realizzata non con i colori, ma con le impronte di sudore, è così persistente ed eloquente che abbiamo il diritto di vedervi un riflesso dei reali lineamenti dell'immagine di Edessa (77) .

Un dettaglio espressivo è riportato nella Cronaca dello Pseudo-Simeone Magister. Dopo l'arrivo di Mandylion a Costantinopoli, il vecchio imperatore Romanus Lekapenos, i suoi due figli e Costantino Porfirogenito si riunirono per vedere l'immagine non fatta da mani "sul santo asciugamano del Figlio di Dio". Tuttavia, non hanno visto alcuna immagine chiara: “I figli dell'imperatore hanno detto di aver visto solo che era un volto. Ma il genero (dell'imperatore) Costantino disse che vede occhi e orecchie” (78). I dati forniti danno tutte le ragioni per ritenere che il volto di Cristo sul Mandylion fosse molto poco visibile e di colore quasi monocromatico.

Si può solo supporre che gli artisti bizantini avessero un'idea del reale aspetto della reliquia. Allo stesso tempo, l'immagine stessa di Edessa non era praticamente disponibile per la visualizzazione a Costantinopoli. Apparentemente, sia le copie antiche realizzate a Edessa che le nuove copie scritte dopo il 944 servirono da modello per numerose repliche, che a loro volta erano percepite e venerate come reliquie sacre, misticamente associate a un prototipo miracoloso. Forse è a tali speciali elenchi miracolosi che salgono le icone vaticane e genovesi del Mandylion (79) pervenute fino a noi. tratto caratteristico Entrambe le icone non solo hanno le stesse dimensioni, coincidenti con le dimensioni di un volto umano, ma anche un'immagine monocromatica del volto di Cristo, che si spiega con il desiderio di indicare un prototipo antico (80).

La stessa Edessa Mandylion, poco dopo la sua apparizione a Costantinopoli, fu riposta per sempre in una teca d'oro chiusa (scrigno, arca), e il desiderio di vedere il Volto non fatto da mani cominciò a essere percepito come un sacrilegio. In una descrizione del pellegrinaggio latino dei santuari di Costantinopoli dell'XI secolo pubblicata diversi anni fa. (la cosiddetta “Tarragona Anonymous”) è giunta fino a noi una storia su questa tradizione: “Questo preziosissimo plat (linteum), segnato dal volto e dal tocco del Signore Gesù, è venerato più del resto dei santuari del palazzo, è conservata con grande cura, in modo che sia sempre rinchiusa in un'arca d'oro (vaso aureo) e rinchiusa nel modo più sicuro. E mentre tutti gli altri santuari del palazzo prima o poi sono mostrati ai credenti, questa piattaforma, che conserva l'immagine del volto del nostro Redentore, non è mostrata a nessuno e non è aperta a nessuno, nemmeno all'imperatore di Costantinopoli stesso. In quel momento aprirono l'arca, dove c'era una cosa tanto santa, e la città fu colpita da un terremoto incessante, minacciando tutti di morte inevitabile. Fu rivelato dall'alto attraverso visioni che il terribile male non si sarebbe allontanato da quella città finché quella tavola, che custodisce l'immagine del volto del Signore, non fosse stata nascosta in un luogo segreto e rimossa dagli occhi umani. Così hanno fatto. Hanno messo quella tavola sacra in un'arca d'oro e l'hanno chiusa con cura, e il terremoto si è fermato e l'ira del cielo si è calmata. Da allora nessuno ha sentito dire che aprono quell'arca e guardano quello che c'è, perché tutti credono e temono che tutto sarà colpito da un terribile terremoto se cercheranno di aprirla» (81).

L'evidenza citata è il resoconto più dettagliato del Mandylion a Costantinopoli dal 944. Un pellegrino latino istruito che trascorse molto tempo nella capitale bizantina raccontò senza dubbio una tradizione greca non preservata da altre fonti. Il tema del nascondere il santuario sotto il timore di una catastrofe universale ha profonde origini mitologiche. Gli antichi palladi greci - statue lignee di Atena Pallade e Artemide di Efeso - erano nascosti agli occhi dei credenti e punivano coloro che li vedevano. Archetipica era l'immagine dell'Arca dell'Alleanza, che il sommo sacerdote poteva vedere solo una volta all'anno nel Santo dei Santi del Tempio di Gerusalemme (Ebrei 9:7). Ricordiamo che anche ad Edessa, secondo la “Parola sulla venerazione dell'immagine non fatta da mani” del X secolo, solo il vescovo poteva vedere l'immagine non fatta una volta all'anno, mentre il i fedeli adoravano il reliquiario chiuso con all'interno il Mandylion. L'inaccessibilità del Volto Santo, che rafforzava il sentimento mistico, agiva come una sorta di garanzia di suprema santità, nella cui percezione l'idea apofatica e catafatica di Dio, contemplata e nello stesso tempo assolutamente inaccessibile, si coniugava in un tutto inseparabile.

L'idea di nascondere i santuari si rifletteva nei riti speciali associati alla venerazione di Mandylion e Keramion. Secondo Leone Tuscus, pisano, teologo latino e traduttore ufficiale alla corte di Manuele Comneno, durante la Quaresima entrambe le reliquie furono coperte con speciali coperte. Nel suo trattato polemico Sulle eresie e sugli abusi dei Greci (1177 ca.), questo latino, ben informato su tutte le usanze di Costantinopoli, riporta: “Durante la Grande Quaresima, san Mandilion (sancti mantellis) e san Ceramione sono coperti di veli fino al Sabato Santo” (82 ). Leo Tuskus collega questo rito con un altro rito quaresimale che termina anche il Sabato Santo. Allo stesso tempo, la principale icona miracolosa della chiesa di Pharos - la Madre di Dio Oykokira (domina domus), di solito in piedi dietro l'altare, fu portata via e chiusa nella camera da letto imperiale, le cui porte erano ricoperte di tessuti (83 ). L'impossibilità durante il periodo di lutto e pentimento di contemplare il volto di Nostra Signora di Oikokira o "Signora della Casa" (si potrebbe pensare - la protettrice della chiesa del palazzo e casa imperiale), così come l'occultamento dimostrativo di preziosi reliquiari con Mandylion e Ceramion, a quanto pare, sarebbero diventati i preparativi per la celebrazione pasquale - il ritorno nello spazio sacro del tempio-reliquiario di Pharos delle più importanti immagini miracolose di Cristo e della Madre di Dio, una specie di festosa teofania.

Nei secoli XI - XII. Mandylion nella Chiesa di Nostra Signora di Pharos nel Grande Palazzo Imperiale è segnalato da molti pellegrini (84). Un'importante testimonianza del 1200 è stata lasciata da Nicholas Mesarit, che fu custode delle reliquie nella chiesa di Nostra Signora di Pharos (85). Tuttavia, in questi rapporti non troviamo praticamente alcuna nuova informazione. Apprendiamo che il Mandylion era venerato insieme al Ceramion, portato nella chiesa del palazzo nel 968 (86). Dal 1032 al 1185 la lettera di Cristo ad Abgar (87) fu conservata nella chiesa del palazzo, cosicché si raccolse una serie completa delle più importanti reliquie di Edessa. È interessante notare che si trovavano nelle immediate vicinanze delle principali reliquie della Passione del Signore, e un tale contesto ha indubbiamente influenzato la percezione dei santuari di Edessa.

Preziose prove della posizione della reliquia nello spazio del tempio ci vengono fornite da Robert de Clary, un partecipante diretto alla presa di Costantinopoli da parte dei crociati nel 1204. Parlando delle attrazioni della "Santa Chiesa" del palazzo , riporta quanto vide con precisione topografica e concretezza di militare: “C'erano due ricchi vasi d'oro (vaissiaus d'or), che pendevano in mezzo alla chiesa (capele) su due grosse catene d'argento; in uno di questi vasi c'era una tegola (tuile), e nell'altro un pezzo di lino (touaile)” (88). La conoscenza della struttura del tempio bizantino suggerisce che il Mandylion e il Keramion fossero sospesi a due archi a molla e posti uno di fronte all'altro. In una disposizione così insolita delle reliquie, non si può non vedere un piano speciale che deve essere spiegato.

Mandylion e Keramion, raffigurati uno di fronte all'altro, avrebbero dovuto, a nostro avviso, evocare un grande miracolo avvenuto nella nicchia sopra le porte di Edessa: la riproduzione di un volto miracoloso sulla piastrella che ricopre questa nicchia (89). Secondo Il racconto dell'imperatore Costantino, tra le immagini, dal momento della chiusura della nicchia all'acquisizione miracolosa delle reliquie, un cero inestinguibile ardeva in segno di culto incessante (Racconto, 28). Mostrate al centro del tempio, come sospese nell'aria, due reliquie hanno creato uno spazio mistico di un miracolo in corso: la riproduzione dell'immagine non fatta da mani, una rivelazione visibilmente rivelata e una sorta di teofania. Lo spazio sacro della nicchia della porta di Edessa, formato da due icone, acquistava una dimensione monumentale nello spazio del tempio-reliquiario del palazzo. Importante è stato anche il contesto liturgico: il miracolo dell'emergere dell'immagine miracolosa è stato confrontato con il miracolo della trasposizione dei santi doni nell'Eucaristia. L'ideale bizantino del periodo post-iconoclastico si concretizzò in questo programma con possibile perfezione: l'Icona e l'Eucaristia erano unite in un'immagine spaziale integrale. A nostro avviso, questo modello autorevole e sacro è alla base di uno dei temi centrali dell'intera decorazione del tempio bizantino dei secoli XI-XV, ovvero la collocazione delle immagini di Mandylion e Keramion sugli archi della cupola orientale e occidentale.

Le immagini di Mandylion e Keramion poste una di fronte all'altra, che evocano gli spazi sacri della nicchia di Edessa e della Chiesa di Nostra Signora di Pharos, erano percepite dai Bizantini come un topos stabile. La sua corretta comprensione fu indubbiamente facilitata dai sermoni che si leggevano alle celebrazioni dell'immagine non fatta da mani. Recentemente è stato pubblicato uno di questi testi bizantini, il cosiddetto. "Didaskalia di Constantine Stilbes sui santuari di Mandylion e Keramiion", molto probabilmente pronunciato nella festa del 16 agosto sotto il patriarca Giorgio Xifilin tra il 1194 e il 1197. (90). Nella didascalia, due immagini miracolose di Cristo sono presentate come un tutto - un'epifania miracolosa che dura nel tempo. Il testo stesso si costruisce come un intreccio complesso e poetico di tradizioni storiche su reliquie, immagini bibliche e alta teologia, rivelando il significato simbolico delle icone rivelate. Tali sermoni erano parte integrante dei festosi servizi divini. Mostrano chiaramente quanto fosse profonda la comprensione teologica e liturgica del Mandylion nell'era precedente la conquista di Costantinopoli da parte dei crociati.

immagine di Cristo dalla cappella di S. Matilde, Vaticano

Passando alla tradizione liturgica bizantina, possiamo notare che nell'XI secolo. prende forma il servizio divino della festa del 16 agosto: il trasferimento dell'immagine non fatta da mani da Edessa a Costantinopoli. Si rifletteva nei typicons e nelle menaias di servizio. Ad esempio, nel costantinopolitano Evergetis typikon, più diffuso a Bisanzio nei secoli XI-XII, si indica che la mattina del 16 agosto si legge la “Parola di Metafrasto sul Santo Mandylion” (un abbreviato sinaxaric versione del "Racconto dell'imperatore Costantino"). Tra le letture della liturgia si evidenzia il testo della «Seconda Lettera ai Corinzi» (2 Corinzi 3,4-11) (91). Si fa anche riferimento ai testi evangelici senza indicare capitoli specifici. Sono nominati in un altro influente statuto di Studiysko-Alekseevsky. Si tratta di letture del Vangelo di Luca (Lc 9,51-55; 10,22-24; 13,1), integrate da versetti di un'altra epistola apostolica (Col. 1,12-18).

Un'interessante storia antica del canone all'immagine non fatta da mani, in cui a cavallo tra i secoli XI-XII. sono state apportate modifiche significative. Ciò avvenne probabilmente sotto l'influenza della disputa teologica sulla natura delle immagini sacre, iniziata da Leone di Calcedonia (92). Alla fine dell'XI sec. questo metropolita bizantino si oppose costantemente alla fusione di preziosi utensili liturgici con immagini di icone, che fu eseguita per ordine dell'imperatore Alessio Comneno per ricostituire il tesoro dello stato. Leone di Calcedonia credeva che la santità dell'immagine (carattere) fosse parzialmente trasferita alla materia stessa dell'immagine, che, di conseguenza, non può essere distrutta. Tra gli argomenti a sostegno della sua correttezza, il teologo bizantino cita uno dei tropario del suo contemporaneo canonico Mandylion (93). Il consiglio ecclesiastico convocato dall'imperatore nel 1095 condannò il metropolita Leone, respingendo tutte le sue argomentazioni teologiche (94). Una delle conseguenze pratiche del concilio fu la scomparsa nel manoscritto menaias del XII secolo. tropario a san Mandylion, citato da Leone di Calcedonia nella sua epistola. Il suddetto episodio di censura teologica e liturgica permette di vedere un altro aspetto dell'intensa vita religiosa che circondava la reliquia dell'Immagine non fatta da mani nella capitale bizantina fino al 1204.

Questa data fu l'ultima nella sorte della reliquia, chiara informazione su cui non compare più nelle fonti storiche. Non c'è dubbio che Mandylion sia stato catturato dai crociati. Tuttavia, a differenza di molti altri santuari prigionieri della capitale bizantina, scompare alla vista. La morte del più grande santuario ha dato origine a leggende. Secondo il più popolare, Mandylion, insieme ad altri tesori saccheggiati, fu inviato dal Doge Enrico Dandolo a Venezia. Tuttavia, per la provvidenza di Dio, la nave con Mandylion affondò vicino alla riva nel Mar di Marmara. Nel 19 ° secolo i Greci di Costantinopoli indicarono con riverenza il luogo “esatto” della morte della nave veneziana e, di conseguenza, il luogo sottomarino dell'Immagine non fatta da mani (95). Tuttavia, questa storia popolare dovrebbe essere riconosciuta come una fantasia folcloristica piuttosto che come una trama storica, poiché non trova conferma nelle fonti antiche.

Negli ultimi anni si è diffusa la versione secondo cui la reliquia dell'Immagine di Cristo non fatto da mani è sopravvissuta fino ad oggi ed è diventata famosa in tutto il mondo con il nome della Sindone di Torino. Negli scritti dei Sindonologi (ricercatori della Sindone) l'identificazione delle due reliquie divenne quasi universalmente accettata, poiché forniva una rara occasione per spiegare l'oscura storia della Sindone prima del XIII secolo. (96). Secondo questa teoria, la Sindone, piegata in modo che fosse visibile solo il volto di Cristo, sarebbe stata portata a Edessa e ivi venerata come Icona Non Fatta da Mani su una tavola. Dopo il 1204, i Cavalieri Templari potrebbero aver posseduto la reliquia, da cui la Sindone passa alla famiglia de Charny in Francia, dove fu manifestata pubblicamente per la prima volta a metà del XIV secolo.

Purtroppo l'ipotesi Mandylion-Shroud, nonostante il comprensibile entusiasmo di numerosi sostenitori, non concorda bene con i fatti esistenti (97). Contrasta con le note descrizioni del Mandylion e, prima di tutto, con i dati del Racconto dell'imperatore Costantino, il cui autore, come risulta dal testo, vide la reliquia stessa portata da Edessa. L'immagine non fatta da mani fu studiata attentamente dai bizantini sia a Edessa che dopo essere stata portata a Costantinopoli nel 944. È impossibile immaginare che la differenza tra un sudario di quattro metri e una tavola fissata su una tavola e decorata con un non è stato possibile notare l'impostazione.

Tuttavia, a nostro avviso, l'argomento più importante è l'esistenza a Costantinopoli di due reliquie completamente diverse del Mandylion e della Sindone. Entrambi erano custoditi nella chiesa di Nostra Signora di Pharos e sono contemporaneamente citati nelle descrizioni dei pellegrinaggi, a partire dalla seconda metà dell'XI secolo. Nel 1200, Nicholas Mesarit, un custode assolutamente informato delle reliquie della chiesa di Pharos, riferisce sull'immagine non fatta da mani. “impresso come su una tela primitiva” e completamente separatamente su un'altra reliquia di “lenzuola di Cristo” (98). Nel 1204, il crociato Robert de Clary, unico testimone che riporta l'immagine di Cristo sui fogli della sua tomba, in un altro luogo della sua “Conquista di Costantinopoli” parla della reliquia di Mandylion (99). Così, alla vigilia della IV Crociata, i Bizantini conoscevano la reliquia dei teli funebri con l'immagine di Cristo (possibile Sindone di Torino), ma non confondevano affatto questo santuario con il Mandylion.

A nostro avviso, la versione più probabile è che il Mandylion, insieme alla maggior parte delle reliquie della chiesa di Pharos, sia finito in possesso di Baldovino II, re latino di Costantinopoli, che vendette questi santuari al re francese Luigi IX il Santo. Secondo questa teoria, a metà del XIII sec. Il mandylion finì nella Sainte-Chapelle di Parigi, una cappella di corte gotica appositamente costruita per conservare la corona di spine e altre reliquie della chiesa imperiale di Pharos. La reliquia dell'immagine non fatta da mani scompare senza lasciare traccia solo nel 1792 durante la devastazione di Sainte-Chapelle da parte dei rivoluzionari atei francesi.

Va notato che questa è l'unica versione basata su prove documentali, vale a dire numerosi inventari di 22 grandi reliquie del XIII secolo. custodito in uno speciale reliquiario reliquiario sopra l'altare della Sainte-Chapelle (100). Il più importante tra gli inventari è l'atto ufficiale del giugno 1247, secondo il quale Baldovino II trasferì ufficialmente tutti i diritti su 22 reliquie bizantine al re Luigi IX (101). In questo elenco protocollo-accurato delle principali reliquie della Chiesa di Pharos, all'ottavo posto, tra la Catena ferrea di Cristo e la Pietra del Sepolcro, è menzionata la "Piatto sacro fissato su una tavola (sanctam toellam tabuae insertam)". In un'altra ancora precedente descrizione delle reliquie del 1241, si dice che l'oggetto sacro fosse «una tavola che, durante la rimozione del Signore dalla croce, gli toccò il volto» (102). In altre descrizioni la reliquia è chiamata tabula, mappa, mappula, “un drappo sacro (trelle) fissato su una tavola con il volto di Nostro Signore Gesù Cristo”, “Veronica”, “immagine del santo volto di Nostro Signore o Veronica”, e, infine, semplicemente “il santo volto” (103).

Da numerosi inventari dal XIII al XVIII secolo. diventa chiaro che Luigi IX, tra le reliquie della chiesa di Pharos, la cui autenticità fu confermata da Baldovino II, ricevette una specie di tavola con il volto di Cristo, che fu fissata sulla tavola. L'immagine di Cristo permise al compilatore di inventari del XVI secolo. identificarlo con la "Veronica" romana, che somigliava al Salvatore bizantino non fatto da mani. Descrizioni e incisioni più dettagliate del XVIII secolo. dare un'idea del dispositivo e aspetto esteriore reliquiario, che nel Grande Reliquiario di Sainte-Chapelle era collocato sotto il reliquiario a croce della Lancia Santa a destra della corona centrale di spine (104). La tavola con la tavola è stata riposta in uno scrigno piatto bizantino con coperchio a scomparsa (circa 60 x 40 cm). Era ricoperto di sottili lastre d'argento dorato e adornato con pietre preziose. Le descrizioni non lasciano dubbi sul fatto che si tratta di un piccolo tessuto fissato su una tavola. L'intero sfondo lungo il volto dell'ufficio era ricoperto da sottili lastre d'oro, lasciando visibile solo il volto stesso di Cristo.

Tra le reliquie della chiesa di Pharos, solo il Mandylion corrispondeva alle descrizioni del Sancta Toella di Sainte-Chapelle. È interessante notare che, come sappiamo dal "Racconto dell'imperatore Costantino" (25), anche il piatto con l'Immagine non fatta da mani era attaccato alla tavola e decorato con un castone d'oro. Non è meno significativo in questo contesto che le antiche copie iconografiche della reliquia costantinopolitana - i Mandylion genovesi e vaticani - siano decorate esattamente nello stesso modo, piuttosto insolito. L'intero sfondo, ad eccezione del volto di Cristo, è ricoperto da una liscia placca d'oro dello stipendio, come se ritagliasse il volto con un contorno netto, con un caratteristico tridente nella parte inferiore per ciocche e barba cadenti. L'attendibilità delle antiche testimonianze bizantine sulla reliquia di Edessa trova inaspettate conferme negli inventari francesi del New Age. L'identificazione del Mandylion di Costantinopoli e del parigino Sancta Toella ci sembra più che probabile.

Tuttavia, c'è un'obiezione molto importante a questa identificazione. Perché la più grande reliquia bizantina è rimasta praticamente sconosciuta in Occidente? La spiegazione, a nostro avviso, va ricercata nel fatto che san Luigi IX creò il culto statale, assolutamente dominante, della Corona di Spine, per il quale fu ricevuta la speciale benedizione del papa. È interessante notare che nello stesso XIII secolo. i papi crearono un simile culto romano della cosiddetta "Veronica" (vera icona) - l'immagine miracolosa di Cristo sulla tavola, venerata nella cattedrale di San Pietro (105). La speciale venerazione dell'icona bizantina non fatta da mani a Parigi sarebbe un pericoloso rivale del culto romano. È possibile che una sorta di oblio del Mandylion bizantino ("Santo Platone") nel mondo cattolico sia stato il risultato di un accordo speciale tra i papi e i re francesi, una sorta di pagamento per il pieno sostegno di Roma al culto del Corona di spine e lo status di Sainte-Chapelle come principale reliquiario del mondo cristiano. Tuttavia, qui dobbiamo fermare il nostro ragionamento, dal momento che stiamo entrando nel terreno instabile di congetture e ipotesi logiche non documentate.

Apparentemente, non possiamo dare una risposta definitiva sul destino del Mandylion, così come sulle due reliquie di Keramion. Con certezza si può solo affermare il fatto che dal 1204 le reliquie dell'Immagine non fatta da mani non esistono più nel mondo bizantino. Tuttavia, per la nostra trama è molto più importante che, essendo scomparso come oggetto reale, la vita del Mandylion come la più importante immagine iconica di Cristo non solo non si sia fermata, ma abbia persino ricevuto un nuovo impulso per lo sviluppo. In centinaia di elenchi, il Mandylion è distribuito in tutto il mondo ortodosso e, soprattutto, nell'antica Russia. Il desiderio di stabilire una connessione mistica con la vera reliquia della Vera Immagine fu una fonte spirituale inesauribile e uno stimolo costante per lo sviluppo dell'iconografia del Salvatore non fatto da mani, che divenne il tema dominante di tutta l'arte ortodossa.

Appunti:

1. Evseeva L.M., Lidov A.M., Chugreeva N.N. Salvatore non fatto da mani nell'icona russa. Mosca, 2005. P.12-39.

2. Nelle fonti bizantine, la reliquia dell'immagine non fatta da mani era anche chiamata himation, rakos, soudarion, ekmageion, heiromaktron, othony. La parola "Madilion", molto probabilmente derivata dall'arabo mandil (asciugamano), si diffonde nel X secolo e dall'XI secolo. la scritta “IC XC. TO AGION MANDYLION” appare nelle raffigurazioni bizantine del Cristo non fatto da mani su un piatto come nome ufficiale della reliquia e tipo iconografico (uno dei primi esempi nei dipinti cappadoci di Karanlik Kilise a Goreme). La storia del termine è considerata nell'opera: Walter Chr. Il ciclo di Abgar a Mateic // Studien zur byzantinischen Kunstgeschichte. Festschrift fuer H. Hallensleben. Amsterdam, 1995. P. 223-224.

3. Traduzione del greco soudarion (fazzoletto, fazzoletto, velo). Nei più antichi manoscritti dei vangeli in antico slavo, questo era il nome della sciarpa con cui era legata la testa del risorto Lazzaro (Giovanni 11:44). Vedi: Dizionario antico slavo (secondo manoscritti del X-XI secolo). M., 1994. S. 723

4. Esiste una notevole letteratura su Mandylion. Il corpo principale dei testi greci è pubblicato nella pubblicazione accademica fondamentale: Dobschutz E. von. Christusbilder. Untersuchungen zur christlichen Legende. Lipsia, 1899. Hft. IS 102-196, 158*-249*; Hft. II. S.29**-156**. Traduzioni russe e studio dei primi testi siriaci relativi al Mandylion, vedi: Meshcherskaya E.N. La leggenda di Avgar è uno dei primi monumenti letterari siriani. M., 1984; Meshcherskaya E.N. Atti apocrifi degli Apostoli. M., 1997.

La storia della reliquia è discussa più dettagliatamente nell'articolo: Cameron A. La storia dell'immagine di Edessa: il racconto di una storia // Okeanos. Saggi presentati a Ihor Sevcenko. Studi ucraini di Harvard. 1983. V.7. P. 80-94 (con bibliografia principale). Tra le ultime pubblicazioni, è necessario evidenziare la raccolta di articoli: Il Volto Santo e il Paradosso della Rappresentazione. ed. H. Kessler, G. Wolf. Bologna, 1998.

5. A quanto pare, il creatore del Racconto era uno dei soci dell'imperatore Costantino VII Porfirogenito. La traduzione del testo greco in russo è stata appositamente preparata ed è pubblicata per la prima volta in appendice a questa edizione. La traduzione è stata fatta secondo l'edizione critica di Dobschutz. Una nuova edizione critica del testo è attualmente in preparazione a cura di Bernard Flusen (B.Flusin). Si noti che alcuni ricercatori moderni consentono la partecipazione diretta dell'imperatore Costantino alla compilazione del Racconto.

6. Ci è pervenuto in un manoscritto del XIII secolo, la cui lingua indica una precedente origine del testo. Vedi: Meshcherskaja. atti apocrifi. pp.143-152

7. Questa storia è nota anche in un'altra versione più dettagliata del testo del “Messaggio ad Abgar”, creato in occasione del trasferimento da Edessa a Costantinopoli nel 1032 della reliquia della Lettera di Cristo ad Abgar. Il testo è sopravvissuto sia nell'originale greco che nelle traduzioni in molte lingue. Dice che “ Cristo ordinò al messaggero di Abgar, artista di professione, di venire alla sinagoga, dove sedeva predicando al popolo. Il messaggero entrò nella sinagoga e iniziò a scrivere l'immagine di Gesù, ma non riuscì a trasmettere i suoi lineamenti. Allora il suo compagno disse: “Va' e dai il piatto che hai da Avgar. E accostatosi davanti a tutti, si gettò ai piedi di Gesù e gli diede il fazzoletto. Il Signore, dopo aver intinto le mani nell'acqua, gli lavò il viso e, mettendosi un foulard sul viso, vi impresse il suo volto, sul quale apparve l'immagine di Gesù, che sbalordiva tutti quelli che sedevano nella sinagoga. Dopo aver consegnato la tavola al messaggero, Cristo lo mandò ad Avgar". Vedi: Acta Apostolorum Apokrypha. ed. RA. Lipsio. Darmstadt, 1959. S.281-282

8. Evagrio Scolastico. Storia della Chiesa. IV, 27

9. La Lettera dei Tre Patriarchi all'imperatore Teofilo e testi correlati. ed. di J.A.Munitiz, J.Chrysostomides, E.Harvalia-Crook, Ch.Dendrinos. Camberley, Surrey, 1997. P.lii-liii, 32-35. Traduzione russa, vedi: La leggenda delle icone miracolose nel "Messaggio dei patriarchi d'Oriente all'imperatore Teofilo" // Icona miracolosa a Bisanzio e nell'antica Russia. Ed.-stat. A.M. Lidov. M., 1996. P.429

10. Eusebio di Cesarea. Storia della Chiesa. I, 13 (M., 1993. C.41-44)

11. Egerie. Giornale di viaggio (Itineraire). ed. P. Maraval. P., 1982 (Fonti chrétiennes, 296)

12. Procopio di Cesarea. Guerra con i Persiani. II, 12. (M., 1993, p.119)

13. Dobschutz credeva che la leggenda dell'immagine non fatta da mani fosse sorta poco dopo l'assedio di Edessa nel 544 nei circoli di lingua greca di Calcedonia di questa città (Dobschutz . Op.cit. S.120). Cameron ha collegato il "ritrovamento dell'immagine" con la particolare situazione storica della minaccia militare persiana a metà del VI secolo. (Cameron. Op. cit. P. 84-86).

14. Nuova edizione degli Insegnamenti di Addai: Desreumaux A. Histoire du roi Abgar et de Jesus. Affluenza alle urne, 1993. Rus. per. vedi: Meshcherskaya E.N. atti apocrifi. P.79-80, 64. La leggenda di un ritratto fatto dall'uomo si riflette nella “Storia del mondo” arabo-cristiana di Agapius di Manbij (circa 941): “ Hanan, che era un pittore, dopo aver ricevuto questa risposta da nostro Signore Messia. - sia glorificato! - ha scritto su una tavola quadrata un ritratto di nostro Signore Messia, - possa Egli essere glorioso! - bei colori; e tornò con questo quadro a Edessa, dove lo presentò al suo sovrano, Abgar il Nero. Abgar ha accettato questo tesoro con grande riverenza come un dono senza precedenti.”(Gesù Cristo nei documenti della storia. San Pietroburgo, 1999. P. 441).

15. Acta Thaddaei // Acta Apostolorum apocripha. Lipsiae, 1891, pp. 273-278; Palmer A. Une version grecque de la légend d'Abgar // Histoire du roi Abgar et de Jesus. Brepols, 1993. P.137

16. Mosse Khorenatsi. Storia. Yerevan, 1990. P.86

17. Stepanyan L. Monumento agiografico “Storia dei Santi di Hripsimian” // Armenia e Oriente cristiano. Yerevan, 2000. P.381. Nella tradizione armena, ci sono diverse leggende su Avgar e l'immagine non fatta da mani. Un esotico apocrifo, noto nei testi del XII secolo, ma risalente a un originale siriano più antico, racconta di un chitone non cucito che apparve dal cielo e fu inviato da Abgar a Cristo, il loro incontro personale dopo la risurrezione a Gerusalemme, e altri dettagli altrettanto incredibili, vedi: Marr N.Ya. La composizione di Giovanni Crisostomo sul Chitone non cucito, discendente dall'alto, e la storia di Avgar, il re degli armeni // Collezione di studenti del professor V.R. Rosen. SPb., 1897. pp. 81-96

18. In questa vita di san Daniele di Galash (VI secolo), si narra che il santo ricevette benedizioni dall'immagine di Cristo in Edessa. Tuttavia, questa prova è considerata come un'interpolazione successiva, vedi: Drijvers H.J.W. L'immagine di Edessa nella tradizione siriaca // Il Volto Santo. P.17

19. Evagrius Storia della Chiesa Scolastica. Libri III-IV. SPb., 2001. S.213-214. Nella letteratura recente, questa storia nella storia del 594 è talvolta considerata come un'interpolazione successiva: Chrysostomides J. Un'indagine sull'autenticità della Lettera dei Tre Patriarchi // La Lettera dei Tre Patriarchi. P.XXIV-XXXVII. I conducenti, sulla base di un'analisi di fonti siriane, hanno sostenuto l'opinione sull'interpolazione fatta a Costantinopoli intorno al 787. A suo avviso, le prime prove storiche dell'immagine di Edessa non fatta da mani risalgono all'inizio dell'VIII secolo e la leggenda prende forma ad Edessa del VII sec. intorno al fatto reale dell'esistenza di una pittoresca icona di Cristo, menzionata nel testo degli "Insegnamenti dell'Addai" dell'inizio del V secolo, si veda: Drijvers. Op.cit. P.30. Allo stesso tempo, l'opinione sull'interpolazione nel testo di Evagrius non è stata supportata da un certo numero di ricercatori. Vedi: Whitby M. Evagrius e il Mandylion di Edessa // Bollettino degli studi bizantini britannici, 20 (2000). P.90-91. Bernard Flusen e Christopher Walter non sono d'accordo con l'opinione dell'interpolazione e li ringrazio sinceramente per aver discusso con me di questo problema.

20. “Occupata la città (Edessa), l'imperatore Niceforo prese la sacra tegola e, deponendola riverentemente in una tegola d'oro e pietre preziose scrigno, donato in conservazione al tempio della Vergine, situato presso il palazzo” : Leone Diacono. Storia. IV, 10 (M., 1988, p. 40). Per informazioni di base sulla reliquia di Keramion, vedere: Raff T. Das 'heilige Keramion' und 'Christos der Antiphonites' // Festschrift L.Kretzenbacher. Monaco di Baviera, 1983. S. 145-149

21. Yahya di Antiochia riferisce che Keramion fu catturato da Niceforo Foca nella città siriana di Mempetse (Hierapolis) nel 966 (Histoire de Yahya-ibn-Sa'id d'Antioche. Ed. J. Krachkovsky, A. Vasiliev // Patrologie orientale, 18 (1924), pp. 730-732). Secondo la leggenda anonima "Sul trasferimento del miracoloso Keramio da Hierapolis da parte di Niceforo Foca" (BHG 801n), questa reliquia fu portata a Costantinopoli il 24 gennaio 967, prima alla chiesa delle Blacherne, poi trasferita a Santa Sofia, e infine collocato nella Chiesa di Tutti i Santi del Gran Palazzo Imperiale. Vedi: Halkin F. Inedits bizantines d'Ochrida, Candie et Moscou. Bruxelles, 1963. P.253-260.

22. La tradizione ci è giunta nel Chronicon ad annum 1234 pertines, basato sui precedenti storici siriani dell'VIII-IX secolo. Vedi: Drijvers H.J.W. Op.cit. P.24

23. Mikeladze K. Riflessione sulla leggenda dell'immagine miracolosa del Salvatore nell'arte georgiana // Icona miracolosa a Bisanzio e nell'antica Russia / Ed.-comp. A.M. Lidov. M., 1996. S.90-95. Skhirtladze Z. Canonizzare gli apocrifi: il ciclo di Abgar nei Vangeli Alaverdi e Gelati // Il Volto Santo. P.69-93. La più antica icona dell'encausto georgiano giunta fino a noi, presumibilmente del VI secolo, è l'immagine miracolosa del Salvatore di Anchiskhat (ora Museo d'Arte della Georgia a Tbilisi) - appartenuta al tipo iconografico del Salvatore non realizzato da Mani. Secondo una leggenda nota da fonti georgiane del XII secolo, l'icona fu portata dall'apostolo Andrea da Hierapolis. Una versione successiva della leggenda identifica l'icona con l'immagine stessa di Edessa, che fu trasferita a Costantinopoli e finì in Georgia durante la persecuzione iconoclasta dell'imperatore Leone Isaurico (Ibid. P.71-72).

24. L'origine dell'immagine camuliana è dettagliatamente descritta nella “Storia della Chiesa” siriana di Zaccaria Rhetor (XII, 4), datata VI secolo. : La cronaca siriaca detta di Zaccaria di Mitilene. Trans. FJ Hamilton e EW Brooks. L., 1899. P. 320. Belting H. Somiglianza e Presenza. Una storia dell'immagine prima dell'era dell'arte. Londra., Chicago, 1995. P. 53-55. Esisteva un'altra versione dell'origine, si legge nel “Discorso sull'acquisizione dell'immagine camuliana non fatta a mano”, attribuito a San Gregorio di Nissa e creato, pare, non prima dell'era iconoclasta. Vedi: Dobschutz. Op.cit. S.12***-18***.

25. La storia è raccontata nella sua "Cronaca" di Michele il Siro: Chronique de Michel le Syrien patriarche jacobite d'Antioche (1166-1199). ed. J.-B. Chabot. Parigi, 1901. P.476-477. Si veda l'analisi di questo testo: Drijvers. Op.cit. P.21-22. Dionisio di Telmahres osserva di aver appreso questa tradizione dal nonno materno Daniele, figlio di Mosè di Tur di Abda. Pertanto, la storia stessa sorse non più tardi dell'VIII secolo.

26. Segal JB Edessa. "La città benedetta". Oxford, 1970. P.214

27. La storia è raccontata nella Cronaca del 1234 (Anonymi auctoris Chronicon ad annum Christi 1234 pertinens. Ed.J.-B. Chabot. Louvain, 1916-1920, 1937, 1974. II,135, 101,102), ma risale a a prima Per le storie di Dionisio di Telmahr e Teofilo di Edessa, nonché per le leggende locali apparse nel VII-VIII secolo, vedere: Drijvers. Op.cit. P.29

28. L'acqua del pozzo, secondo la leggenda, guarì cristiani e non cristiani. Ha aiutato in particolare con la lebbra, l'elefantiasi e la gotta ("malattia di Abgar"). Poco dopo la sconfitta di Edessa nel 1144, il pozzo nel monastero in rovina fu visitato dal nuovo sovrano della regione di Zangi, il quale, guarito da una malattia alle gambe, fece allestire un ospedale vicino al pozzo. Vedi: Sigillo. Edessa. PP.250-251. È interessante notare che questo pozzo miracoloso è stato venerato nel 19° secolo. Secondo le leggende degli armeni di Urfa (Edessa), nei pressi della città esisteva un "pozzo di Mandylion" (Jab-al-Mendil): Avgar fu guarito dalla lebbra con l'acqua che riempì il pozzo, in cui l'immagine non fatta di Hands era nascosto, vedi: Smirnov Ya.I. Parola del X secolo su come l'immagine del Salvatore su Ubrus fosse onorata a Edessa // Commentationes philologicae. Sab. articoli in onore di I.V. Pomyalovsky. SPb., 1897. P.9.

29. Atti del VII Concilio Ecumenico // Atti dei Concili Ecumenici. Kazan, 1891. V.7. p.17 (Mansi, 13. Col. 192).

30. Gouillard J. La vie d'Euthyme de Sardes // Trauvaux et Mémoirs, 10 (1987). P.35

31. Giorgio Sincello. Ecloga Chronografica. ed. AA. Moshammer. Lipsia, 1984. P.399.21 - 400.3

32. Dobschutz. Op.cit. S.107**-114**. Per una traduzione della maggior parte di questo testo, vedi: L'icona miracolosa. pp.127-128.

33. Cameron A. Il Mandylion e l'iconoclastia bizantina // Il Volto Santo. C.33-54. Sulla base di varie fonti, l'autore mostra la graduale crescita della fama di Mandylion nell'era dell'iconoclastia, sottolineando in particolare il ruolo del monastero palestinese di San Sava, il monastero di S. Giovanni di Damasco, in questo processo

34. De fide ortodossa IV, 16; PG T. 94. Col. 1173A; Giovanni di Damasco. Esposizione accurata della fede ortodossa // Opere di San Giovanni di Damasco. Fonte di conoscenza Per. D.E. Afinogenova, AA Bronzova, AI Sagardy. M., 2002. P.313

35. P.G. T.94. Col.1261B. Giovanni di Damasco. Tre parole difensive contro coloro che condannano icone o immagini sacre. Per. AA. Bronzov. SPb., 1893. S.24-25

36. Grotz H. Beobachtungen zu den zwei Briefen Papst Gregor II. an Kaiser Leone III // Archivum Historiae Pontificiae, 18 (1980). S.9-40

37. Ibid.

38. Alexakis A. Codex Parisinus Greacus 1115 e il suo archetipo, Washington, 1996. PP.348-350

39. Ibid. P.348 (tradotto da A.Yu. Nikiforova)

40. Vedi: Melioransky B.M. George Kiprianin e Giovanni di Gerusalemme, due combattenti poco conosciuti per l'Ortodossia nell'VIII secolo. SPb., 1901. P.6, XX-XXII. cit. in corsia A.Yu. Vinogradova

41. Crisostomide. Op.cit. P.XXVII-XXXII. Tuttavia, le argomentazioni dell'autore non convincono tutti i ricercatori. Colgo l'occasione per ringraziare K. Walter e B. Flusen per aver discusso con me di questo problema.

42. Questo punto di vista, con l'indicazione di tutte le fonti primarie, è motivato in dettaglio nell'opera: Afinogenov D.E. Sul problema dell'Edessa Ubrus e dell'epistola dei tre patriarchi orientali (in stampa).

43 Nicephori Refutatio et Eversio. ed. JM Featherstone (Corpus Cristianorum, Serie Greaca, vol.33). Turhout, 1997. 7, 54-56; 184, 56-59; Nicephori Antirrhetici adversus Constantinum Copronymum // PG. T.100, col. 260A, 461AB

44. La Lettera dei Tre Patriarchi. P.32-35; Icona miracolosa. P.428

45. La Lettera dei Tre Patriarchi. P.150-153

46. ​​​​Icona miracolosa. P.428

47. Ibid. P.429

48. Uno di questi collezionisti di reliquie fu Leone VI il Saggio (886-912), vedi: Lidov A.M. Icone miracolose nello scenario del tempio. Sul programma simbolico delle porte imperiali di Sofia di Costantinopoli // Icona miracolosa. S.47, 61.

49. Storico arabo della prima metà dell'XI secolo. Yahya di Antiochia riporta un dettaglio interessante: l'emiro di Edessa chiede il permesso di fare un patto al Califfo di Baghdad, che riunisce un consiglio di Qadi e avvocati per risolvere la questione del trasferimento del Mandylion ai Greci. Vedi: Histoire de Yahya-ibn-Sa'id d'Antioche. ed. J.Krachkovsky, A.Vasiliev // Patrologie orientale, 18 (1924). P.730-732

50. Successore di Teofane. Biografia dei re bizantini. Pubblicato da Ya.N.Lyubarsky. SPb., 1992. P. 178.

51. Successore di Teofane. P.178

52. Queste fonti sono state recentemente analizzate in uno studio speciale: Patlagean E. L'entrée de la Sainte Face d'Edesse à Constantinople en 944 // La religion civique à l'époque mediévale et moderne. Roma, 1995. P.21-35. L'autore assume la partecipazione diretta allo sviluppo del rituale di portare l'immagine a Costantinopoli dello stesso imperatore Costantino Porfirogenito, autore del famoso trattato "Sulle cerimonie della corte bizantina" (De ceremoniis)

53. Per la Chiesa Blachernae e la sua organizzazione, cfr. Papadopoulos J. Les palais et les églises des Blachernes. Salonicco, 1928. Sotto la chiesa superiore, forse, si intende il “Santo Lavatoio” (agion lousma) posto in alto, dove, secondo la testimonianza di Costantino Porfirogenito, vi erano diverse icone venerate (De ceremoniis. Col. 551-556 )

54. Successivamente, il primo incontro di Mandylion con l'imperatore - il bacio dell'icona non fatta da mani a Blacherne fu catturato in una miniatura del XII secolo. dal manoscritto madrileno della “Cronaca di Giovanni lo Skylitzes” (fol. 131a): Grabar A., ​​​​Manoussacas M. L'illusration du manuscrit de Skylitzé de la Biblioteque Nationale de Madrid. Venezia, 1979. Fig.158. P. 77, 157-158

55. Questo episodio è presentato nella cosiddetta versione sinaxar in modo un po' diverso: i giovani imperatori, con la partecipazione del patriarca Filaret, portano una bara con una reliquia sulle spalle, seguendo da Blacherne alla Porta d'Oro. Vedi: Synaxariu Ecclesiae Constantinoplitanae. ed. H. Delehaye. Bruxelles, 1902. P. 897-904; Patlagiano. Op.cit. P.25

56. Loparev Chr. Vecchie testimonianze della posizione della veste della Vergine nelle Blacherne in una nuova interpretazione // VV. 1895.II/4. pp.581-590.

57. Edizione integrale del testo greco del sermone: Sternbach L. Analecta Avarica. Cracovia, 1900. P.305

58. Per uno studio recente dei Golden Gates medio-bizantini di Costantinopoli, vedere Mango C. The Triumphal Way of Constantinople and the Golden Gate // Dambarton Oaks Papers, 54 (2000). PP.173-188

60. A proposito dei trionfi bizantini dei secoli VIII-X. vedi: McComick M. Eternal Victory. Il governo trionfale nella tarda antichità, Bisanzio e nell'Occidente altomedievale. Parigi, 1986. pp.131-188.

61. MacCormack S. Arte e cerimonia nella tarda antichità. Berkeley, Los Angeles, Londra, 1981. P.84-92

62. Skaballanovich M. Esaltazione della Santa Croce. Kiev, 1915. S.9-10

63. La cronaca siriaca detta di Zaccaria di Mitilene. Trans. FJ Hamilton e EW Brooks. L., 1899. pag. 320; Kitzinger E. Il culto delle immagini nell'era prima dell'iconoclastia // Dumbarton Oaks Papers, 8 (1954). P. 99-100, 124

64. Per questa icona, vedere: Breckenridge J.D. Cristo in trono a dorso di lire // DOP. 1980-1981. T.34-35. pag. 247-260; Conduce. icone miracolose. p.53

65. Belyaev DF Bizantina. Libro. II. Ricevimenti giornalieri e domenicali dei re bizantini e delle loro uscite festive alla chiesa di Santa Sofia nel IX-X secolo. SPb., 1893. pp. 16, 35, 47, 229, 244.

66. A proposito di questa chiesa Theotokos tou Farou, costruita da Costantino V a metà dell'VIII secolo. e ricostruita sotto Michele III (842-867), vedi: Janin R. La géographie ecclésiastique de l'Empire byzantin. Parigi, 1953. IT3. P.241-245 (a p.244, vedi elenco dettagliato delle reliquie di Nicholas Mesarite e Anthony di Novgorod). Lidov AM Chiesa di Nostra Signora di Pharos. Il tempio-reliquiario imperiale come archetipo dello spazio sacro // Il mondo bizantino: l'arte di Costantinopoli e le tradizioni nazionali. Abstracts della Conferenza Internazionale, Mosca, 17-19 ottobre 2000, San Pietroburgo, 2000. P.37-40

67. Il racconto degli anni passati // PLDR. XI - inizio del XII secolo. M., 1978. S.52-53

68. Si noti che il significato passionale ed eucaristico del Mandylion aumenterà gradualmente nei secoli X-XII. con la “liturgica” dell'intera cultura bizantina. La conferma più eclatante di questo processo si trova nei programmi iconografici bizantini. Vedi: Gerstel Sh. Miraculous Mandylion. L'immagine del Salvatore non fatta da mani nei programmi iconografici bizantini // Icona miracolosa. pp.76-87.

69. Dobschutz. Christusbilder. S.176

70. Ibid. S.176-177

71. Grabar A., ​​​​Manoussacas M. L'illusration du manuscrit de Skylitzé de la Biblioteque Nationale de Madrid. Fig.246. P.108

72. Sterligova I.A. Icona reliquiario "Descent into Hell" // Reliquie cristiane al Cremlino di Mosca. Ed.-stat. SONO. Conduce. M., 2000. SS 36-39

73. Ibid. p.38

74. Vita S. Pauli Junioris // Wiegand Th. Der Latmos. Berlino, 1913. S.127

75. Dubarle A.-M. L'homelie de Grégoire le Référendaire pour la réception de l'image d'Edesse // Revue des études bizantines. 1997. T.55. P.5-51. Vedi anche il capitolo del libro: L'image d'Edesse dans l'homélie de Grégoire le Référendaire // Dubarle A.-M., Leynen H. Histoire ancienne du linceul de Turin. Parigi, 1998. Vol.2. PP. 35-46

76. Dubarle A.-M. L'omelia di Gregoire le Referendaire. P.28-29

77. È interessante notare che la testimonianza di Gregorio di Refendarius riprende i dati del trattato siriano sull'immagine non fatta da mani di Edessa, che ci è pervenuto in un manoscritto latino del X secolo. (Vossiano lat. Q 69). Si parla dell'immagine di Cristo scritta nel sangue. Vedi: Zaninotto G. L'immagine Edessene: impronta dell'intera persona di Cristo. Nuove conferme dal codex Vossianus Latinus Q 69 del secolo X // L'indentification scientifique de l'Homme du Linceul Jesus de Nazareth. Parigi, 1995. P.57-61

78. P.G. T.109. Col. 812A-813. Degno di nota è il proseguimento del testo: le impressioni dei giovani imperatori sono interpretate dal monaco Sergio, presente all'esame del Mandylion. Ha collegato la visione degli occhi e delle orecchie con gli occhi del Signore, si è rivolto ai giusti e alle sue orecchie - alle loro preghiere. Ma il volto del Signore è rivolto ai peccatori per scacciarne dalla terra la memoria (Sal 33,16). Questa previsione, nel contesto degli eventi storici successivi, è considerata come il trionfo del giusto Costantino Porfirogenito e il rovesciamento dei figli di Romano Lecapenus.

79. Il Volto di Cristo. ed. G.Morello, G.Wolf. Roma, 2000. Cat.III.I; III.2. P.91-92. Vedi anche il capitolo L.M. Evseeva in questa edizione

80. Tuttavia, l'effetto del monocromo può essere il risultato di una stilizzazione deliberata di un'antica immagine “misteriosa”. Avendo avuto l'opportunità di esaminare attentamente entrambe le immagini alla mostra “Il Volto di Cristo” a Roma nel marzo 2001, sono giunto alla conclusione che lo strato pittorico visibile del Vaticano e del Mandylion genovese può essere datato ai secoli XIV-XV. La stessa opinione è condivisa da Herbert Kessler (Kessler), che ha visto icone senza stipendi. Ringrazio il professor Kessler per aver discusso con me di questo problema. L'opinione esistente nella letteratura scientifica circa la datazione del Mandylion Vaticano è anteriore al VI secolo, sulla base di analogie stilistiche soggettive, a nostro avviso. non può essere accettato. Vedi: Bertelli K. Storia e vicende dell'immagine edessena // Paragone, 217/37 (marzo 1968). P.10; Belting H. Somiglianza e presenza. P.210

81. Ciggaar KN Una descrizione di Costantinopoli dans le Tarragonensis 55 // REB. 1995. T.53. P.120-121. Rus. per. vedi: Anonimo Tarragona. "Sulla città di Costantinopoli". Descrizione latina delle reliquie di Costantinopoli nell'XI secolo. Per. OK. Maciel Sanchez // Reliquie nell'arte e nella cultura del mondo cristiano orientale. Ed.-stat. SONO. Conduce. M., 2000. S.158-159

82. Bacci M. Reliquie della Cappella di Pharos. Uno sguardo dall'Occidente latino // Reliquie cristiane orientali. Ed.-stat. SONO. Lidov (in preparazione per la pubblicazione)

83. Bacci M. La Vergine Oikokyra, Signora del grande Palazzo. Lettura del passo di Leone Tusco sulle cattive usanze dei greci // Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Serie IV. vol. III,1-2 (1998). P. 261-279

84. Una delle prime testimonianze della fine dell'XI secolo. nel cosiddetto. "Anonymous Merkati", che si basa sulla guida greca ai santuari di Costantinopoli: L'icona miracolosa. P.439. Le testimonianze latine sono raccolte in: Bacci M. Reliquie della Cappella di Pharos. Oltre ai latini, Antonio di Novgorod riferisce dell'immagine non fatta da mani, elencando le reliquie in " gonne dorate reali” indica “ ubrus, su di esso c'è l'immagine di Cristo e due ceramidi”: Libro Pellegrino. La leggenda dei luoghi dei santi a Tsaregrad di Antonio Arcivescovo di Novgorod nel 1200. ed. Chr.M. Loparev. SPb., 1899. P.19

85. Dopo aver elencato 10 reliquie di passioni, dette il Decalogo (per analogia con i Dieci Comandamenti), si dice di Mandylion e Ceramione: “ Ti presento ora lo stesso Legislatore, impresso come su una tela primitiva e inciso su morbida argilla, come da una specie di arte pittorica miracolosa.". Vedi: Nikoloas Mesarites. Die Palastrevolution des Johannes Komnenos. ed. A. Heisenberg. Würzburg, 1907, pp. 29-32; Nicola Mesarit. Decalogo sulle reliquie della Passione conservate nella Chiesa di Nostra Signora di Pharos a Costantinopoli. Per.A.Yu. Nikiforova // Reliquie. p.129

86. Cfr. nota 16

87. C'è qualche stranezza inspiegabile nella storia della reliquia. Secondo il testo del Racconto del 944, la Lettera di Cristo fu portata a Costantinopoli insieme al Mandylion. Tuttavia, secondo altre fonti bizantine (George Kedrin, Giovanni Zonara), fu catturato ad Edessa nel 1032 dal comandante Giorgio Maniaco, che inviò la Lettera all'imperatore Romano Argirus (PG. T. 122. Col. 233 C; T. 135. Col. .177 C). La lettera è conservata nella Chiesa di Nostra Signora di Pharos ed è più volte citata dai pellegrini fino al 1185, quando fu trafugata e scomparve senza lasciare traccia.

88. Roberto de Clari. La conquista di Costantinopoli. ed. P.Lauer. Parigi, 1956. P.82; Roberto di Clary. Conquista di Costantinopoli. M., 1986. S.59-60. È curioso che l'autore esponga una strana tradizione popolare sull'apparizione di immagini di Cristo sulla tavola e sulle piastrelle, che non ha praticamente nulla a che fare con la famosa leggenda di Abgar.

89. Lidov AM Reliquia come immagine icona nello spazio sacro di un tempio bizantino // Reliquie. pp.28-29

90. Flusin B. Didascalie de Constantin Stilbes sur le Mandylion et la Sainte Tuile // Revue des Etudes Byzantines. 1997.T.55. P.53-79. Il testo del manoscritto è intitolato “Didaskalia del beato monaco Cirillo, futuro Vescovo di Cizico, che a quel tempo era diacono e didascalco di Calcite (la Chiesa di Cristo Calcite della Grande Corte Imperiale-AL)”.

91. Dmitrievsky A.A. Descrizione dei manoscritti liturgici conservati nelle biblioteche dell'Oriente ortodosso. T.1. Kiev, 1895. S.489-490

92. La trama è individuata e analizzata nello studio: Grumel V. Leon de Chalcedoine et le Canon de la Fete du Saint Mandilion // Anallecta Bollandiana. 1950. T.68. P.135-152

93. Ibid., P.136-137, 143-152 (un'edizione del canone greco citato da Leone di Calcedonia)

94. Weyl Carr A. Leo di Chalkedon e le icone // Oriente bizantino, Occidente latino. Studi storico-artistici in onore di Kurt Weitzmann. Princeton, 1996. P.579-584. Un'analisi della controversia teologica con una bibliografia dettagliata della questione.

96. Affermato per la prima volta da Ian Wilson nel suo best seller: Wilson J. La Sindone di Torino. Il telo funerario di Gesù Cristo? L., 1978. P.92-164. Argomentazione dettagliata in una monografia speciale: Dubarle A.-M. Histoire ancienne du Linceul de Torino. Parigi, 1985.

97. Per una critica di questa ipotesi, si veda Fiey J.M. Image d'Edesse ou Linceul de Turin // Revue d'Histoire Ecclesiastique, 82 (1987). P.271-277; Cameron A. Lo scettico e la Sindone // Cameron A. Continuità e cambiamento nella Bisanzio del VI secolo. Londra, 1981. V.PP. 3-27. V Di recente Critiche serie sono apparse anche tra i sindonologi: Lombati A. Imposibile definire la Sindone con il Mandylion: ulteriori conferme da tre codici latini // Approfodimento Sindone, 2 (1998), pp.1-30

98. Nicholas Mesarit. Decalogo. pp.128-129

99. Robert de Clari. La conquista di Costantinopoli. P.82; Roberto di Clary. Conquista di Costantinopoli. pp.59-60, 66

100. Gould K. Le sequenze de Sanctis Reliquiis come inventari di Sainte-Chapelle // Studi medievali, 43 (1981). PP. 315-341

101 Riant P. Exuviae Sacrae Constantinopolitanae. Ginevra, 1878. Vol. 2. PP 133-135

102. Tabula quedam quam, cum deponeretur Dominus de cruce, ejus facies tetigit. Vedi: Gould K. Op.cit. P. 331-332, 338

103. Ibid. PP.338-339

104. Le prove sono state riviste in una voce speciale nel catalogo più recente: Durand J. La Sancta Toile ou “Veronique” // Le trésor de la Sainte-Chapelle. Parigi, 2001. P.70-71

105. Secondo la leggenda ufficiale, la Tavola della Veronica, apparsa miracolosamente quando Cristo si asciugò il volto durante la Via Crucis, fu portata a Roma da Gerusalemme. Era politicamente importante per i papi che il grande santuario arrivasse a Roma direttamente dalla Città Santa. La scomparsa della storia di Edessa e delle idee ad essa connesse sulla priorità di Costantinopoli in questa tradizione non sembra affatto casuale. Per le ultime idee su Veronica e le sue numerose immagini nell'arte dell'Europa occidentale, consultare il catalogo scientifico: Il Volto di Cristo. ed. G. Morello, G. Wolf. Roma, 2000. pp.103-167.

Il 19 dicembre 2009 la Chiesa Apostolica Armena commemora sant'Abgar, il primo re che credette in Gesù Cristo.

Abgar (Avgar, Avgar) è il nome dinastico di un certo numero di sovrani di Osroene, un piccolo stato ellenistico nella Mesopotamia settentrionale con capitale a Edessa (l'odierna Urfa nella Turchia sudorientale). Il più famoso è il 15° rappresentante della dinastia - Abgar V.

Abgar V - re di Osroena nel 4 aC e. - 7 d.C e. e 13-50 anni. n. e., con il soprannome Ukkama o Uhomo, cioè "nero". Secondo Tacito, ha preso parte attiva allo svolgersi nel 49-50. lotta per il trono di Partia, sostenendo il re Gotarzes contro il protetto romano Meherdat. Procopio di Cesarea cita anche una leggenda sulla lunga permanenza di Abgar Ukkama alla corte dell'imperatore Augusto a Roma e parla del trucco a cui ricorse per tornare in patria.

È Abgar Ukkama che la tradizione considera il primo sovrano cristiano di Osroene, attribuendo così l'emergere del cristianesimo nella regione mesopotamica ai tempi apostolici. Diverse antiche tradizioni apocrife cristiane sono associate al suo nome, di cui la più famosa è la "Corrispondenza di Abgar con Gesù Cristo", il cui originale originale non è stato conservato.

L'esistenza della corrispondenza è nota da due fonti principali: una traduzione greca di documenti siriaci dall'archivio di Edessa, realizzata intorno al 303 da Eusebio di Cesarea, e una più ampia leggenda siriaca dell'inizio del V secolo, nota come gli Insegnamenti dell'Apostolo Addai.

Secondo la leggenda, Abgar Ukkama, malato di lebbra, inviò a Cristo il suo archivista Hannan (Anania) con una lettera in cui chiedeva a Cristo di venire a Edessa e guarirlo. Hannan era un artista e Abgar gli ordinò, se il Salvatore non poteva venire, di scrivere la Sua immagine e di portargliela. Hannan trovò Cristo circondato da una folta folla; si fermò su una pietra, dalla quale poteva vedere meglio, e cercò di ritrarre il Salvatore. Vedendo che Hannan voleva fare il suo ritratto, Cristo chiese dell'acqua, si lavò, si asciugò il viso con un panno e la sua immagine fu impressa su questo panno. Il Salvatore diede questa tavola ad Hannan con l'ordine di prenderla con una lettera in risposta a colui che l'aveva inviata. In questa lettera, Cristo si rifiutò di recarsi in persona da Edessa, dicendo che doveva compiere ciò per cui era stato mandato. Dopo aver completato la sua opera, promise di mandare uno dei suoi discepoli ad Abgar.

Il materiale è stato preparato sulla base di informazioni provenienti da fonti aperte

Il 19 dicembre 2009 la Chiesa Apostolica Armena commemora sant'Abgar, il primo re che credette in Gesù Cristo.

Abgar (Avgar, Avgar) è il nome dinastico di un certo numero di sovrani di Osroene, un piccolo stato ellenistico nella Mesopotamia settentrionale con capitale a Edessa (l'odierna Urfa nella Turchia sudorientale). Il più famoso è il 15° rappresentante della dinastia - Abgar V.

Abgar V - re di Osroena nel 4 aC e. - 7 d.C e. e 13-50 anni. n. e., con il soprannome Ukkama o Uhomo, cioè "nero". Secondo Tacito, ha preso parte attiva allo svolgersi nel 49-50. lotta per il trono di Partia, sostenendo il re Gotarzes contro il protetto romano Meherdat. Procopio di Cesarea cita anche una leggenda sulla lunga permanenza di Abgar Ukkama alla corte dell'imperatore Augusto a Roma e parla del trucco a cui ricorse per tornare in patria.

È Abgar Ukkama che la tradizione considera il primo sovrano cristiano di Osroene, attribuendo così l'emergere del cristianesimo nella regione mesopotamica ai tempi apostolici. Diverse antiche tradizioni apocrife cristiane sono associate al suo nome, di cui la più famosa è la "Corrispondenza di Abgar con Gesù Cristo", il cui originale originale non è stato conservato.

L'esistenza della corrispondenza è nota da due fonti principali: una traduzione greca di documenti siriaci dall'archivio di Edessa, realizzata intorno al 303 da Eusebio di Cesarea, e una più ampia leggenda siriaca dell'inizio del V secolo, nota come gli Insegnamenti dell'Apostolo Addai.

Secondo la leggenda, Abgar Ukkama, malato di lebbra, inviò a Cristo il suo archivista Hannan (Anania) con una lettera in cui chiedeva a Cristo di venire a Edessa e guarirlo. Hannan era un artista e Abgar gli ordinò, se il Salvatore non poteva venire, di scrivere la Sua immagine e di portargliela. Hannan trovò Cristo circondato da una folta folla; si fermò su una pietra, dalla quale poteva vedere meglio, e cercò di ritrarre il Salvatore. Vedendo che Hannan voleva fare il suo ritratto, Cristo chiese dell'acqua, si lavò, si asciugò il viso con un panno e la sua immagine fu impressa su questo panno. Il Salvatore diede questa tavola ad Hannan con l'ordine di prenderla con una lettera in risposta a colui che l'aveva inviata. In questa lettera, Cristo si rifiutò di recarsi in persona da Edessa, dicendo che doveva compiere ciò per cui era stato mandato. Dopo aver completato la sua opera, promise di mandare uno dei suoi discepoli ad Abgar.

Il materiale è stato preparato sulla base di informazioni provenienti da fonti aperte

13:10 - REGNUM

... "Il 33° anno dopo la Natività di Cristo è l'adozione della fede cristiana da parte del re armeno Abgar." Questa data nasconde molte cose sorprendenti. Anche molti di coloro che hanno visto il Salvatore e i miracoli che ha compiuto con i loro i propri occhi dubitano della verità dei Suoi insegnamenti. Alla ricerca di risposte a queste domande, ci siamo rivolti a San Movses Khorenatsi, Vescovo della Chiesa Armena, storico del V secolo.

Movses Khorenatsi su Abgar, figlio di Arsham

Nella sua Storia dell'Armenia, Movses Khorenatsi racconta come il re armeno Abgar sentì parlare di Gesù Cristo e dei suoi miracoli.

I nobili del re Abgar (Avgar) furono inviati nella città di Betkubin (o Eleutheropol - una città della Giudea, 40 km a sud est di Gerusalemme) per risolvere gli affari pubblici.

“Sulla via del ritorno”, scrive Movses Khorenatsi, “sono andati a Gerusalemme per vedere il nostro Salvatore Cristo, spinti da voci su miracoli e, essendo loro testimoni oculari, hanno detto ad Abgar. Lo stupito Abgar credeva sinceramente che questo fosse il vero Figlio di Dio, e disse: "Queste sono le possibilità non dell'uomo, ma di Dio, perché nessuno del popolo può risuscitare i morti, ma solo Dio". E poiché il suo corpo era stato colpito da una terribile malattia che lo aveva colpito nel paese persiano sette anni prima, e la gente non era in grado di curarlo, gli mandò una lettera con la supplica di venire a curarlo ... "

Abgar, apparentemente non potendo recarsi egli stesso in Giudea, inviò questa richiesta al Signore Gesù, pregandolo di venire da lui a Edessa. Non essendo sicuro che la richiesta sarebbe stata soddisfatta, Abgar mandò in Palestina l'abile pittore Anania, incaricandolo di raffigurare il volto del Signore sull'icona; il re voleva avere almeno quella consolazione nella sua malattia di vedere l'immagine del volto di Gesù Cristo; tanto era il suo amore per Cristo, ispirato dalla fede ad orecchio.

Lo storico cita il testo del messaggio del re Abgar al Salvatore:

“Abgar, figlio di Arsham, capo del paese, a Gesù, Salvatore e benefattore, apparso nel paese di Gerusalemme, (manda) saluti.

Ho sentito parlare di te e della guarigione operata dalle tue mani senza pozioni e radici. Poiché, come si suol dire, fai vedere i ciechi e gli zoppi, purifichi i lebbrosi, scacci gli spiriti immondi e guarisci gli afflitti anche con malattie croniche. Hai persino resuscitato i morti. Quando ho sentito tutto questo su di te, mi sono convinto nei miei pensieri di una di queste due cose: o sei Dio disceso dal cielo e stai facendo questo, oppure sei il Figlio di Dio e stai facendo questo. Per questo ti scrivo chiedendoti di prenderti la briga di venire da me e curarmi della malattia di cui soffro. Ho anche sentito dire che gli ebrei brontolano contro di te e vogliono torturarti; la mia città è piccola e bella, basterebbe a tutti e due.

I messaggeri che consegnarono la lettera incontrarono Gesù a Gerusalemme. La risposta al messaggio di Abgar furono le parole del Salvatore, registrate dall'apostolo Tommaso:

“Beato chi crede in me senza vedermi. Perché sta scritto di me: quelli che mi vedono non crederanno in me, quelli che non vedono crederanno e vivranno. E di ciò che mi hai scritto: per venire da te, allora devo compiere qui tutto ciò per cui sono stato mandato. E quando farò questo, ascenderò a colui che mi ha mandato. Quando ascenderò, manderò qui uno dei miei studenti per curare le tue malattie e dare vita a te e ai tuoi parenti.

Insieme alla lettera, Anania consegnò al re Abgar l'immagine del Salvatore, che sorse miracolosamente davanti ai suoi occhi: "Il Signore ordinò che fosse portata dell'acqua e, dopo aver lavato il suo santo volto, lo asciugò con un ubrus a quattro punte (quattro -materia piegata) gli è stata data. E - su un miracolo! - la semplice acqua si trasformò in pittura, e la santissima somiglianza del volto divino fu impressa sull'ubrus. Il Signore, dando questa immagine ad Anania, disse: "Prendila, dallo a colui che ti ha mandato".

Movses Khorenatsi indica che "l'immagine del Volto del Salvatore è conservata nella città di Edessa".

Il re Abgar, detto Ukkama, o Uhomo, che secondo le cronache significa "nero", governò due volte il regno di Osroene nella parte armena della Mesopotamia settentrionale con capitale a Edessa (l'odierna Sanliurfa nella Turchia sudorientale; fino al 1993 - Urfa): per la prima volta dal 4 a.C. al 7 d.C., e successivamente dal 13 d.C. al 50 d.C.

Il regno di Osroene fu fondato nel 137 a.C. e cessò di esistere nel 216 d.C. Il re Abgar V della dinastia armena degli Arsacidi, nipote di Tigran il Grande, quindicesimo sovrano del regno, divenne famoso nel IV secolo, quando Eusebio di Cesarea scoprì nell'archivio di Edessa un documento siriano, a testimonianza della sua corrispondenza con Gesù Cristo.

Testimonianza di Eusebio di Cesarea

Nella sua Storia della Chiesa, il Vescovo di Cesarea palestinese scrive di re Abgar, «che regnò gloriosamente sulle nazioni al di là dell'Eufrate e soffrì di un mezzo terribile e umano di una malattia incurabile» e «appena seppe del nome di Gesù e le sue gesta, più volte testimoniate da tutti, mandò subito al corriere, chiedendo la liberazione dal morbo.

Il vescovo cita anche una lettera “scritta da Abgar il toparca (sovrano del paese, distretto. - M. e G.M.) a Gesù e inviata a lui tramite Anania il messaggero a Gerusalemme”:

“Ho sentito parlare di te e delle tue guarigioni, che da te compiono senza medicine e senza radici. Dicono che fai i veggenti ciechi, i camminatori zoppi e purifichi i lebbrosi, scacci gli spiriti immondi e i demoni, e guarisci coloro che sono tormentati da una malattia a lungo termine e resusciti i morti ... E quindi ho ritenuto necessario chiedere Ti prendi la briga di venire da me e la malattia che ho, guarisci. Ho anche sentito dire che i Giudei brontolano contro di te e vogliono farti del male. Ho una città piccola e una bella, che è sufficiente per entrambi.

Nella "Storia della Chiesa" ho trovato un posto e la risposta di "Gesù attraverso Anania, il messaggero del toparca Abgar":

“Beati te che hai creduto in me senza vedermi, perché di me sta scritto: quelli che mi vedono non crederanno in me, ma quelli che non mi hanno visto crederanno e vivranno. Circa la stessa cosa che mi hai scritto perché venissi da te, tutto ciò per cui sono stato mandato qui deve essere compiuto da me, e dopo l'adempimento sarò condotto da colui che mi ha mandato, e quando sarò preso (innalzato), ti manderò qualcuno dei miei discepoli a guarire la tua malattia e la tua vita a te e a tutti coloro che sono con te, purché.

Rivelazioni di Jacob Lorber

Nel 1844, il mistico tedesco Jacob Lorber pubblicò La corrispondenza di Gesù con Abgar Ukkama, principe di Edessa. Ecco alcuni estratti del suo lavoro (tradotto dal tedesco da L.P. von Offenberg, 1940, Ginevra; casa editrice Lorber-Verlag, Germania).

Il primo appello di Abgar al Signore:

“Abgar, il re di Edessa - a Gesù il Guaritore, che apparve nei pressi di Gerusalemme, Gloria!

Ho sentito parlare di te e di guarigioni da te compiute senza erbe e pozioni; poiché si dice che tu faccia vedere i ciechi, gli zoppi camminino, purifichi i lebbrosi, scacci demoni, guarisci malattie incurabili e persino risuscita i morti.

E dopo aver sentito tutto questo su di te, sono giunto alla conclusione che una delle due ipotesi deve essere vera: o sei Dio, disceso dal cielo, oppure, facendo tali cose, devi essere almeno il Figlio dell'Iddio Onnipotente.

Perciò ti scrivo e ti chiedo: degnati di venire a me e guarirmi dalla mia malattia.

Ho anche sentito dire che i Giudei stanno tramando il male contro di te. Possiedo uno stato piccolo ma ben organizzato e c'è abbastanza spazio per entrambi.

Perciò vieni a me, mio ​​veneratissimo Amico Gesù, e resta ad abitare nella mia capitale, dove tutti ti porteranno nelle braccia e nel cuore.

Ti aspetto con la più grande impazienza nel mio cuore!

Inviato con un fedele messaggero e servitore del mio Brach.

La prima risposta del Signore:

«Benedetto sei tu, Abgar! Perché hai Fede senza vedermi! Come dice di me la Scrittura: “Coloro che mi hanno visto non crederanno in me, perché quelli che non mi hanno visto credano ed ereditino la Vita.

Quanto alla tua lettera, nella quale mi chiedi di venire da te a causa della persecuzione dei giudei, ti dirò quanto segue: è necessario che tutto ciò per cui sono venuto sulla terra si compia con me in questi luoghi.

In verità vi dico che si avvicina il tempo in cui tutto si avvererà per me secondo le Scritture, dopo di che tornerò a Colui dal quale sono venuto dall'eternità.

Abbi pazienza con la tua leggera afflizione.

Non appena sarò in cielo, ti manderò il mio discepolo, ed egli ti aiuterà e darà vera guarigione a te ea tutti i tuoi.

Scritto da Giacobbe, discepolo del Signore, vicino a Nazaret, e consegnato a Brach, messaggero e servo del re di Edessa.

Subito dopo che Abgar ricevette una lettera dal Signore, il figlio maggiore ed erede del re si ammalò gravemente. Tutti i medici di Edessa dichiararono la sua malattia incurabile. Questo fece precipitare Abgar nella completa disperazione e nel suo dolore scrisse una seconda lettera al Salvatore.

Il secondo appello di Abgar al Salvatore:

“Abgar, lo sfortunato principe di Edessa, a Gesù, il buon guaritore.

Onore e gloria al Signore!

Gesù, buon Salvatore!

Il mio figlio maggiore ed erede sta morendo. Ha gioito tanto con me per il tuo possibile arrivo nella nostra città. Una febbre malvagia lo ha deposto e minaccia di portarlo via ogni minuto.

Ma so dal mio servo che guarisci tali malati anche a distanza - senza alcuna medicina, ma solo con la forza della tua volontà.

Gesù Salvatore! Tu che sei veramente il Figlio dell'Altissimo Dio, guarisci figlio mio! Ti amava così tanto che era pronto a sacrificare la sua vita per te. Dì una parola e la Tua onnipotente Volontà lo guarirà.

Gesù! Salvatore! Ti prego: salva, salva, salva mio figlio ora e non rimandarlo a dopo la tua Ascensione da te annunciata. Perché anch'io sono malato.

Scritto nella mia capitale Edessa. Inviato dallo stesso fedele servitore".

La seconda risposta del Signore:

"Abgar! Grande è la tua fede, e solo quella guarirebbe tuo figlio; ma poiché ho trovato più in te che in tutto Israele, farò per te più di quanto pensi!

Anche se perderai tuo figlio in questo mondo visibile, ma spiritualmente sarai cento volte arricchito!

Per questo vero Amore interiore per il Signore, basato sulla grande Fede, bisogna perdere corporalmente “in questo mondo visibile” la cosa più preziosa! Ma spiritualmente, tale Amore arricchisce cento volte — nel regno eterno del Signore!

Chi di noi non l'ha sperimentato? Sì, se ci dedichiamo interamente al Signore e al Suo Regno dei Cieli, allora “corporalmente” perdiamo molto nel mondo; poiché non si possono servire due padroni contemporaneamente.

Se vogliamo raggiungere l'Eterno e l'Immortale, non dobbiamo aggrapparci al transitorio e al mortale…”

Alla fine della sua lettera, il Salvatore menziona che un povero giovane errante dovrebbe venire nella città di Abgar uno di questi giorni: "Accettalo, e con questo piacerai al mio cuore".

Il terzo appello di Abgar al Signore:

“Abgar, l'insignificante principe di Edessa - a Gesù Salvatore, che apparve nei pressi di Gerusalemme, Gloria eterna!

… Guardando il mio figlio malato, che ti ama ogni giorno di più, involontariamente ti desideravo più di prima. Perdonami se ti scrivo di questo. Dopotutto, so che tutti i nostri pensieri ti sono noti prima di noi, ma, nonostante questo, ti scrivo tutto - come persona in generale.

Lo faccio su consiglio del giovane che mi hai affidato. Lui è già con me, e mi ha detto che così si rivolge a Te chiunque ha una richiesta a Te. Abbiamo anche appreso da lui che ti ha visto. Parla in modo coerente e, soprattutto, sa raccontare e descrivere in senso figurato.

E, con grande gioia di mio figlio, che è ancora vivo, sebbene molto debole, questo giovane ci ha parlato di te, descrivendoci il tuo aspetto in modo così dettagliato e chiaro che ci sembrava di vederti in piedi come vivo davanti ai nostri occhi .

Un noto pittore vive nella mia capitale. L'ho chiamato e, secondo il giovane, ha subito dipinto il tuo ritratto a mezzo busto.

Il volto ci ha colpito, ma quando il giovane ha assicurato che Tu, Signore, sei proprio così, la nostra gioia è stata sconfinata.

Colgo l'occasione per trasmetterti, tramite il mio messaggero, e il tuo ritratto insieme a questa lettera. Ti chiedo: di' al messaggero la tua opinione sulla somiglianza con te.

Gesù, Salvatore del genere umano! Non essere arrabbiato con me per questo! Perché non è stata la curiosità a spingerci a fare questo, ma solo l'Amore sconfinato per Te e un immenso desiderio di avere almeno qualcosa che potesse darci un'idea del Tuo aspetto e del Tuo aspetto...

Ricordaci, Signore, nel Tuo cuore!

Sia fatta per noi la Tua Santa Volontà!”

La terza risposta del Salvatore:

(Inviato 10 giorni dopo con lo stesso messaggero)

“Mio amato figlio Abgar! Ricevi la Mia Benedizione, il Mio Amore e la Mia Grazia!

Spesso dico qui in Giudea a coloro che ho liberato da ogni sorta di infermità: "Questo te l'ha fatto la tua fede", ma non ho ancora chiesto a nessuno: "Mi ami?" — e nessuno mi ha ancora detto dal profondo del cuore: “Signore! Ti voglio bene!"

Tu, non vedendomi, hai creduto che Io sono l'unico Dio, e ora mi ami, poiché da tempo sei rinato dalla fiamma del mio Spirito.

Abgar! Abgar! Se solo sapessi, se solo potessi capire quanto mi sei cara e che gioia sei per il mio cuore di padre! La beatitudine infinita potrebbe distruggerti, perché non potresti sopravvivere!

D'ora innanzi rimani saldo, nonostante sentirai parlare di Me dai Giudei, pieni di malizia, che presto Mi tradiranno nelle mani dei carnefici!

Ma se ascolti questo e ancora non dubiti di Me, allora, dopo tuo figlio, sarai il primo a prendere parte spiritualmente attiva alla Mia Risurrezione dopo la morte!...

E conserva questo nel tuo cuore finché non risorgerò, poi il mio discepolo verrà subito da te, come ti ho detto nella mia prima lettera. Egli guarirà te e tutti i tuoi, eccetto tuo figlio, che passerà indolore nel Mio regno davanti a Me!

Quanto alla somiglianza del ritratto con il mio aspetto, il tuo messaggero, che mi ha già visto tre volte, te ne parlerà in dettaglio.

Se qualcuno vuole avere la mia immagine e sarà guidato dai tuoi stessi argomenti, allora non ci sarà peccato in questo - ma guai a coloro che fanno di Me un idolo!

E mantieni quell'immagine segreta per te per ora.

Scritto in Giudea da un discepolo che mi sta a cuore e trasmesso dallo stesso messaggero».

Il quarto appello di Abgar al Salvatore:

(Scritto 7 settimane dopo il suo terzo indirizzo)

“Abgar, l'insignificante principe di Edessa, a Gesù il Salvatore, che apparve vicino a Gerusalemme e ora è perseguitato da ebrei stolti e ciechi che non vedono la Luce primordiale e sacra, il Sole di tutti i soli — in mezzo a loro!

Mio prezioso Salvatore! Gesù! Ora si è adempiuto ciò che hai detto nella tua seconda lettera: due giorni fa mio figlio si è riposato indolore!

Sul letto di morte, con le lacrime agli occhi, mi ha chiesto di scriverti ancora e di dirti quanto ti è grato per averlo liberato dalla sofferenza e dalla paura della morte.

Morendo, mantenne sempre la tua immagine sul petto, e le sue ultime parole furono: “Padre mio celeste! Gesù, tu sei amore eterno! Tu che sei la vera Vita di età in età, ora vivi come Figlio dell'uomo tra coloro che la tua onnipotenza ha creato, dando loro vita e forma. Tu, l'Uno, sei il mio Amore per sempre! Sono vivo! Sono vivo! Vivo di te, e in te per sempre!”

Dopo queste parole, mio ​​figlio ha chiuso gli occhi.

So, Signore, che tu sai come mio figlio finì qui la sua vita, e che io e tutta la mia corte abbiamo pianto amaramente per lui, ma tuttavia ti scrivo di questo, da uomo a uomo, tanto più che tale era l'ultima volontà di mio figlio!

Dio! Perdonami, peccatore davanti a te, che ti infastidisco con la quarta epistola e interferisco con te nella tua santa e grande opera, ma, inoltre, ti faccio ancora una richiesta: non togliermi il tuo conforto!

Perciò ti chiedo, mio ​​inestimabile Salvatore: liberami da queste angosce e tormenti mentali...

Ma sia fatta la Tua Volontà, non la mia".

La quarta risposta del Signore:

(Scritto per mano del Signore in greco, mentre le lettere precedenti erano scritte in ebraico)

Conosco tuo figlio, e so quanto meravigliosamente abbia concluso la sua vita qui, ma ancora più magnificamente ha iniziato una nuova vita nel Mio Regno!

E hai ragione a piangerlo, perché ci sono pochi giusti in questo mondo, e coloro che sono come tuo figlio sono degni di essere pianto...

Quindi, confortati con la consapevolezza che stai piangendo per il bene e il bene!

Mantieni questa tristezza ancora per un po'. Presto piangerai anche per me, ma non a lungo, perché il mio discepolo verrà e ti guarirà completamente!

D'ora in poi sii generoso e misericordioso, e in cambio troverai misericordia! Non dimenticate i poveri, perché sono miei fratelli, e qualunque cosa fate loro, fate a me, e io vi ripagherò cento volte!

Cerca il Grande, cioè il Mio Regno, allora il Piccolo in questo mondo verrà da te. Se ti sforzi per il Piccolo in questo mondo, allora fai in modo che il Grande non ti respinga!

Ecco, nelle tue segrete è imprigionato un criminale che, secondo le tue sagge leggi, è soggetto alla pena di morte!

Io vi dico: Amore e Misericordia sono superiori alla Sapienza e alla Giustizia!

Trattatelo secondo la legge dell'Amore e della Misericordia, e vi unirete per sempre a Me ea Colui dal quale sono venuto in forma di uomo!

Scritto da me a Cafarnao e trasmesso dallo stesso messaggero.

Il quinto appello di Abgar al Signore:

(Scritto 3 settimane dopo la risposta del Signore al quarto messaggio)

“Abgar, l'insignificante principe di Edessa, a Gesù Salvatore, che apparve in Giudea, nei pressi di Gerusalemme, come Raggio di eterna Potenza, rinnovando i cieli, i mondi e gli esseri, non conosciuti dai “primo-chiamati”, ma ora conosciuto da coloro che finora sono stati nelle tenebre.

... E il giorno in cui i tuoi discepoli compresero in spirito Chi sei, Signore, fu per loro il giorno più felice e soleggiato della loro vita. Mi sento allo stesso modo ora dalla mia notte!

Se solo non fosse per il dolore alle gambe! Sarei stato con te molto tempo fa, ma sono zoppo e incapace di camminare, ed ecco, i miei spregevoli piedi ora mi privano dell'opportunità di raggiungere la più grande beatitudine. Benché ora sopporto tutto con gioia, perché tu, Signore, mi hai condiscendente, insignificante granello di sabbia, e mi hai ritenuto degno di parlare con te per iscritto.

E mi hai insegnato tante cose e mi hai rivelato tante cose meravigliose e spirituali che un tale Insegnamento può venire solo da Te, Signore, ma mai da una persona!

Cosa sapevo prima della vita dopo la morte del corpo? Tutti i saggi del mondo non potevano spiegarmelo. Sebbene, secondo le nostre tradizioni religiose, i nostri dei siano immortali, ma queste tradizioni sono lontane dalla vita come i sogni, in cui si cammina a piedi sul mare o si naviga su una nave a terra!

Tu, Signore, mi hai dimostrato con le parole e con i fatti che solo dopo la morte del corpo inizia la vera Vita Eterna, spirituale, perfetta e libera!

E d'ora in poi, eterna gratitudine a Te, Signore, perché tutte le Tue infinite misericordie saranno la meta della mia vita, per questo ti scrivo di questo, anche se mi rendo conto che tutta la mia gratitudine non è nulla prima della Tua Grazia!

Dio! Cosa posso darti quando tutto ciò che ho è tuo e da te?!

E penso che la sincera gratitudine a Te, che viene dal profondo del cuore, sia la più degna per l'umanità, poiché l'ingratitudine come tale è insita soprattutto in essa.

Ecco perché, a parte la gratitudine, non posso portarti nulla in regalo! Ti dirò anche che d'ora in poi ho deciso di sistemare tutto nel mio paese secondo la Tua Volontà e le Tue istruzioni.

Ho soddisfatto il tuo desiderio e non solo ho rilasciato quel criminale di stato, ma l'ho anche accettato nella mia scuola e l'ho ammesso al mio tavolo.

Forse, così facendo, io, come si usa dire, ho un po' esagerato, ma la mia mente umana non si impegna a discutere di questo atto, perciò te ne scrivo, perché tu mi indicherai la vera via e mi guiderai .

Tu solo, Signore! Gesù! - il mio Amore e l'obbedienza dei figli! Sia fatta la Tua Volontà!”

Quinta risposta del Signore:

“Fai attenzione, amato figlio e fratello di mio Abgar!

Ora ho 72 discepoli e tra loro 12 apostoli, ma tutti, presi insieme, non hanno la tua Fede, sebbene tu sia un pagano e non Mi hai mai visto, non hai visto innumerevoli miracoli che non si fermano dal giorno della mia nascita.

E che il tuo cuore sia colmo di grande speranza, perché accadrà ed è già in parte accaduto che prenderò la Luce dai bambini e la darò a te, Gentili, perché solo di recente ho trovato tra i Romani e gli Elleni che vivono qui una fede che non si trova in tutto Israele.

L'Amore e l'Umiltà sono scomparsi dal cuore dei Giudei, ma in mezzo a voi, Gentili, ho trovato la pienezza di questi sentimenti.

Di conseguenza, toglierò la Luce ai bambini e ve la darò, darò tutto il Mio Regno d'ora in poi e per sempre! E i bambini possono mangiare la spazzatura di questo mondo.

Vuoi che la Mia Volontà diventi legge nel tuo paese? Fin qui è difficile, perché tutto richiede una certa maturità. La Mia Legge è Amore. Se vuoi introdurre qualcosa da Me nel tuo paese, allora introduci questa Legge, e vedrai come tutto andrà facile con la Mia Volontà!

Perché comprendi: la mia Volontà e la mia Legge sono così strettamente legate l'una all'altra che, in sostanza, costituiscono un tutto, come un tutto siamo io e il Padre!

Certo, molto è ancora connesso con la Mia Volontà, ma tu non sei ancora in grado di capirlo. Quando il mio discepolo verrà, ti inizierà a tutto. E non appena ti battezzerà nel Mio Nome, lo Spirito di Dio scenderà su di te e continuerà a guidarti.

Hai fatto bene con il criminale e capisci che sto facendo la stessa cosa ora con te, i Gentili.

E possa questo tuo atto servire da specchio di ciò che sto facendo ora, e nel prossimo futuro lo farò completamente. L'ultimo per il tuo conforto e benedizione!

Il sesto appello di Abgar al Signore:

(Scritto 10 settimane dopo)

“Abgar, l'insignificante principe di Edessa, a Gesù Salvatore, che apparve nei pressi di Gerusalemme, per salvare con cuore puro tutte le nazioni, che volontariamente desiderano vivere secondo la sua Parola!

Signore!.. Tu non sei solo il miglior guaritore ai miei occhi, ma il Creatore e Signore dell'universo di epoca in epoca!

Pertanto, posso solo raccontarti del terribile disastro di stato che ci è capitato, pregandoti dal profondo del mio cuore di portarci via questo terribile disastro.

Come dovresti sapere, dieci giorni fa abbiamo avuto un leggero terremoto, che, grazie a te, non ha distrutto quasi nulla.

Ma il secondo giorno dopo il terremoto, l'acqua in tutto il paese divenne torbida e tutti coloro che bevevano quest'acqua soffrirono prima di pazzi mal di testa, poi persero la testa e divennero come indemoniati.

Con mio decreto proibii subito l'uso dell'acqua locale in tutto il paese fino a nuovo ordine, e intanto ordinai a tutti i miei sudditi di radunarsi a Edessa, dove ricevono da me vino e acqua, che mi vengono portati da lontano dalle navi.

Penso che con questi ordini non ho fatto del male, perché la vera Misericordia e Amore per il mio popolo mi ha spinto a fare questo.

Con tutta umiltà nel mio cuore, Ti chiedo, Signore! Aiuta me e la mia gente! Liberaci da questo problema!

Sia fatta la tua Santa Divina Volontà!”

Quando il Signore lesse questo messaggio, si indignò nello spirito ed esclamò, e la sua voce risuonò come un tuono: “Satana! Satana! Per quanto tempo tenterai il Signore e il tuo Dio?! Cosa ti hanno fatto questo piccolo e operoso popolo? Perché lo stai torturando? Ma affinché tu possa conoscere di nuovo in me il Signore e il tuo Dio, ti comando: "Fuori per sempre da quel paese!" Amen! Una volta ti accontentavi di flagellare il corpo delle persone per tentarle, come io permettevo con Giobbe, ma che fai ora con la mia terra?! Se hai coraggio attaccami, ma lascia la mia terra e le persone che mi portano nel tuo cuore fino al tempo che ti sarà dato per l'ultima prova del tuo libero arbitrio!

E solo dopo queste parole il Signore chiamò uno dei discepoli, che trasse ad Abgar la seguente risposta.

La sesta risposta del Signore:

“Mio amato figlio e fratello Abgar!

Questo ti è stato fatto non dal tuo, ma dal mio nemico! Tu non lo conosci, ma lo conosco da molto tempo!

Ma non ebbe molto tempo per governare. Presto il principe di questo mondo sarà sconfitto. Non temerlo, perché per te e per il tuo popolo l'ho già sconfitto.

E d'ora in poi potrai usare di nuovo l'acqua nel tuo paese. È già stato cancellato e disinnescato.

Vedere? Mentre mi amavi, ti è successo qualcosa di brutto. Ma sotto l'influenza di questa disgrazia, il tuo Amore per Me si è intensificato e rafforzato, motivo per cui ha assunto il potere delle tenebre e d'ora in poi sarai per sempre libero dai demoni dell'inferno.

Ecco perché la Fede è sottoposta a grandi tentazioni e prove, e deve passare attraverso il fuoco e l'acqua! Ma la fiamma dell'Amore soffoca il fuoco delle prove, e l'acqua evapora sotto l'influenza della potenza dell'Amore.

Ciò che è successo al tuo paese ora sotto l'influenza della natura, un giorno accadrà spiritualmente a molti a causa del Mio Insegnamento!

E quelli che si ubriacano nelle pozzanghere dei falsi profeti impazziranno!

Accetta il mio amore, la mia benedizione e la mia grazia, fratello mio Abgar!”

Il settimo appello di Abgar al Signore:

(Scritto 9 settimane dopo che Abgar ha ricevuto la sesta risposta del Signore e consegnato al Salvatore cinque giorni prima che entrasse a Gerusalemme)

Abgar, l'insignificante principe di Edessa, a Gesù il Salvatore, che apparve nei pressi di Gerusalemme, come salvezza di tutti i popoli, il Signore l'Unto di età in età, il Dio di ogni creatura e di ogni popolo e spirito - entrambi il bene e il male!

…Dio! Dalla tua prima lettera, che misericordiosamente ti sei degnato di scrivermi, so che, secondo la tua stessa Volontà, tutto deve realizzarsi con te, come ora progettano gli infidi ebrei...

Io, in quanto vassallo romano e parente stretto dell'imperatore Tiberio, ho spie a me fedeli a Gerusalemme, che sorvegliano con particolare attenzione l'arrogante clero lì.

Quindi, i miei fedeli servitori mi hanno informato in dettaglio sui piani di questi scribi e farisei ostinati e orgogliosi e su ciò che hanno in programma di farti. Non vogliono solo molestarti e ucciderti a modo loro, cioè lapidarti o bruciarti, no! Questo ritengono insufficiente per Te!

Vogliono sottoporTi alla più disumana esecuzione, mostrando la massima e inaudita crudeltà!

Dio! Ascoltami solo: queste bestie in forma umana ti inchioderanno alla croce e ti lasceranno su di essa finché non morirai su questa gogna una morte lenta e in un terribile tormento! ..

Vogliono denunciarti come traditore e istigatore della rivolta popolare dell'anno scorso contro il governo.

Con ciò sperano di ottenere l'indulgenza dei Romani per continuare la loro vile opera. Naturalmente non ci riusciranno, e tu sai meglio di me che non inganneranno i romani.

Dio! Se solo ti degnerai di accettare un servizio da me, tuo devotissimo amico e ammiratore, manderò immediatamente messaggeri a Roma ea Ponzio Pilato, e ti garantisco che queste stesse bestie cadranno nella buca che stanno scavando per te!

Ma conoscendoti, Signore, come io ti conosco, e che non hai bisogno dei consigli di nessuno, tanto meno dei consigli delle persone, sono sicuro che farai come meglio credi; ma io, come uomo, ho ritenuto mio dovere comunicarti in dettaglio tutto ciò che ho appreso e avvertirti!

Allo stesso tempo, ti chiedo di accettare la mia più sincera gratitudine per la grande misericordia mostrata a me e al mio popolo.

Dio! Dì solo: cosa posso fare per te?! Sia fatta sempre la Tua Santa Volontà!”

L'ultima risposta del Signore:

“Fai attenzione, mio ​​amato figlio e fratello Abgar!

Tutto è proprio come mi hai scritto, ma tuttavia tutto deve compiersi con Me secondo la Mia Parola!

Perché altrimenti non una sola persona raggiungerà la Vita Eterna!

Ora voi non potete ancora capirlo, ma vi chiedo: non prendete misure per la mia giustificazione, perché i vostri sforzi saranno vani - tale è la Volontà del Padre che vive in me, dal quale sono venuto nella forma di un uomo!

E non ti spaventi la Croce, alla quale sarò inchiodato!

Perché d'ora in poi, questa Croce sarà la pietra angolare del Regno di Dio, così come le Sue porte fino alla fine dei tempi!

Rimarrò solo tre giorni nella tomba!

Il terzo giorno risorgerò come l'eterno vincitore della morte e dell'inferno, e giudicherò tutti i malvagi con un giusto giudizio, ma per quelli che sono nel mio cuore aprirò le porte del paradiso!

Quando tra pochi giorni vedrai il sole tramontare, allora sappi che il tuo migliore amico e fratello è morto sulla croce!

Neppure questo ti spaventi, perché tutto deve essere compiuto!

Quando risorgerò dai morti, allora, nello stesso tempo, vedrai da Me un segno, per mezzo del quale conoscerai la Mia Risurrezione!

Accetta, mio ​​amato fratello Abgar, il mio amore, la mia grazia e che la mia benedizione sia con te!

“Le lettere del Signore contengono gli insegnamenti fondamentali del Suo vangelo e un ingegnoso riassunto della nostra salvezza attraverso la morte sacrificale del Salvatore. Così, la corrispondenza di Gesù con Abgar può essere definita un "piccolo Vangelo", rivelandoci l'Amore del nostro Padre Celeste, che gentilmente ha concesso la salvezza dei suoi figli: il suo Insegnamento, la sua morte sulla croce e la sua risurrezione vittoriosa dalla morto.

Per un lettore attento, risulteranno evidenti alcune discrepanze tra le versioni presentate in diverse fonti.

Apostolo Taddeo: “Abbiamo lasciato il nostro. Prendiamo quello di qualcun altro?"

Torniamo a Movses Khorenatsi. Lo storico scrive:

“Dopo l'ascensione del nostro Salvatore, l'apostolo Tommaso, uno dei dodici, mandò da lì uno dei settanta - Taddeo a Edessa per curare Abgar e predicare la parola del Signore. Dopo essere apparso, entrò nella casa di un certo Tubiya, un nobile ebreo, secondo le voci - della famiglia Bagratuni, che un tempo si nascose da Arsham e non si apostata dal giudaismo, come gli altri suoi parenti, ma rimase fedele a le sue leggi finché non credette in Cristo. La notizia di Taddeo si diffuse in tutta la città; Abgar udì e disse: “Questo è colui di cui Gesù scrisse”, e subito lo chiamò. E non appena entrò, una visione meravigliosa apparve sul suo volto ad Abgar. E levatosi dal trono, si gettò con la faccia a terra e lo adorò. E tutti i nobili presenti rimasero sbalorditi, perché non videro la visione. E Abgar gli disse: "Sei davvero un discepolo del benedetto Gesù, che ha promesso di mandarmi qui, e puoi guarire la mia malattia?" E Taddeo gli rispose: «Se credi in Cristo Gesù, Figlio di Dio, ti sarà dato il desiderio del tuo cuore». Abgar gli disse: “Ho creduto in lui e nel Padre suo. Perciò desiderai venire con il mio esercito e sterminare gli ebrei che lo crocifissero, ma fui fermato dalle autorità romane.

Dopo queste parole, Taddeo iniziò a predicare il vangelo a lui e alla sua città e, mettendogli la mano addosso, lo guarì... Guarì anche tutti i malati e gli ammalati della città. E tutti credettero e Abgar stesso e tutta la città furono battezzati...

L'apostolo Taddeo battezza un certo maestro dei copricapi di seta e, dandogli il nome di Adde, ordina il capo spirituale di Edessa e lo lascia al suo posto presso il re. Lui stesso prende una lettera da Abgar (istruendo) tutti ad ascoltare il Vangelo di Cristo, e arriva a Sanatruk, figlio della sorella del re, che governava il nostro paese e le nostre truppe ... "

Così Abgar divenne il primo re battezzato della storia. Come ricompensa per la guarigione offrì a Taddeo doni preziosi, che rifiutò con le parole: “Abbiamo lasciato i nostri. Prendiamo quello di qualcun altro?"

L'apostolo Taddeo portò in Armenia la punta della lancia con cui il soldato romano trafisse Cristo crocifisso. Mentre predicava in Armenia, l'apostolo convertì al cristianesimo molti pagani, inclusa la figlia del re, Sanducht. Nel frattempo, il re Abgar scrive diverse lettere a suo nipote Sanatruk e ad altri re, raccontando la sua guarigione e esortandoli a convertirsi al cristianesimo. Nonostante tutti gli sforzi dello zio, Sanatruk rimase sordo a tutte le esortazioni: ordinò che Taddeo e Sandukht fossero messi a morte.

Ci vorranno altri due secoli e mezzo prima che il re armeno Tiridate legalizzi il cristianesimo come religione ufficiale nel suo stato nel 301, proclamando l'Armenia il primo paese cristiano al mondo.

L'immagine miracolosa del Signore

L'amore di Abgar per il Salvatore era incarnato non solo nella loro corrispondenza, ma anche nelle loro azioni. Per decreto del re fu distrutta la statua che si trovava davanti alla porta centrale di Edessa. Secondo l'usanza esistente, chiunque volesse entrare in città doveva prima inchinarsi davanti a questa statua e solo dopo varcare la porta.

In questo luogo, per ordine di Abgar, fu eretta una stele con l'immagine del Signore non fatta da mani, la cui iscrizione diceva: "Cristo Dio, chiunque confida in te non perderà mai la fede in te".

Il Santo Volto di Gesù Cristo, presentato dal Salvatore al re Abgar, fu riconosciuto e venerato come un autentico ritratto del Signore e servì da modello per tutta l'iconografia cristiana.

Il ritratto aspettava un destino difficile. Nel 944, durante il regno di Costantino VII Porfirogenito, imperatore bizantino di sangue armeno, la Sacra Icona fu trasferita da Edessa a Costantinopoli. Nel 1362 il Volto Santo fu trasferito con la forza dalla capitale bizantina a Genova dal capitano Leonardo Montaldo. Dopo 22 anni il capitano, già Doge di Genova, portò l'Immagine del Signore non fatta da mani nella Chiesa Armena di S. Bartolomeo. Nel 1507, quando Genova fu catturata dal re Luigi XII, il Volto Santo fu rapito e portato in Francia. Ben presto i Genovesi acquistarono l'Icona e la reliquia tornò alla chiesa di San Bartolomeo, dove è conservata ancora oggi in una cassa d'argento ornata di pietre preziose.

È interessante notare che l'immagine non fatta da mani è stata collocata sugli stendardi delle truppe russe per proteggerle dai nemici. In russo Chiesa ortodossa c'è una pia usanza all'ingresso di un credente al tempio di leggere, insieme ad altre preghiere, il tropario all'immagine del Salvatore non fatta da mani.

A dicembre la Chiesa Apostolica Armena commemora S. Abgar, il primo re dell'Armenia che credette in Cristo. Nel 2016 il giorno della memoria del santo cade il 6 dicembre.

Gli Edessiani sono i discendenti del re Abgar di Edessa.

Secondo la leggenda, gli Edessiani del villaggio di Edissia (armeni locali - Edessia) del Caucaso settentrionale sono lontani discendenti degli abitanti di Great Edessa, che, per volontà del destino, si trovarono vicino a Staraya Shemakha (il villaggio di Kilvar), situato nel territorio della Transcaucasia orientale.

Ma anche qui non hanno trovato una vita tranquilla. Solo all'inizio del 18° secolo c'era speranza di sbarazzarsi della schiavitù. È stato ispirato dalla campagna del Caspio di Pietro il Grande nel 1722-1723. Tuttavia, la partenza dell'esercito russo dalla Transcaucasia ha reso la vita della popolazione armena ancora più insopportabile. Ecco cosa scrissero i contadini armeni di lingua turca il 28 ottobre 1725 a Pietro il Grande (che ormai era morto in un bose): “La popolazione dei nostri villaggi fu trasformata con la forza in turchi, i nostri manoscritti, libri e chiese furono bruciati, i nostri sacerdoti furono sterminati. Molte persone furono uccise di spada a causa della loro fede. Ora siamo turchi di giorno e di notte diventiamo armeni, non abbiamo altra scelta. La nostra via d'uscita siete voi stessi, la nostra richiesta è la seguente: per amore di Cristo... inviate truppe, liberateci... dopo di che saremo tutti tra le vostre truppe...” La risposta è arrivata solo alla fine di secolo (1797) sotto forma di una carta dell'imperatore Paolo I agli armeni che si stabilirono nella regione di Derbent: “Ascoltando la richiesta degli armeni di Derbent e di altri dintorni, affido coloro che desiderano reinsediarsi per effettuare tali reinsediamenti e , all'arrivo, scegliere il tipo di vita che li caratterizza, ricevendo terra per il loro consumo.

Due anni dopo, i Kilvariani fondarono il tratto di Kasaeva Yama - a nord di Mozdok (nel 1851, su loro richiesta urgente, il villaggio fu ribattezzato città di Edissia - Edessia). Gli Edessiani non solo riuscirono a preservare la fede del loro antenato Abgar, ma tornarono anche alla lingua originale di Mesrop Mashtots, il creatore dell'alfabeto armeno.

San Mandylion (l'immagine di Gesù Cristo non fatta dalle mani su un Ubrus) con la storia di trovarlo in una cornice.; Bisanzio; XII secolo; luogo: Italia. Genova. Chiesa armena di San Bartolomeo

Il mese di agosto il 16° giorno. Il trasferimento dell'immagine miracolosa di nostro Signore Gesù Cristo da Edessa a Tsargrad

Signore, benedici, padre!

1. Abgar, avendo saputo delle guarigioni miracolose di Cristo a Gerusalemme, gli manda Anania con una lettera

È necessario parlare della grazia stessa di Dio e del nostro Salvatore Gesù Cristo. Quando fece miracoli meravigliosi e tutte le nazioni vennero a conoscenza di Gesù, Abgar, il principe di Edessa, che soffriva di lebbra nera e di una spiacevole infermità, ne venne a conoscenza. E volendo vedere con i propri occhi il Creatore stesso e non potendo, Abgar mandò un messaggio implorante a Gesù, dicendo così: «Ho sentito parlare di te, Signore, e delle tue guarigioni, compiute solo con una parola. Tu dai guarigione ai malati: i ciechi - perspicacia, gli zoppi - la capacità di camminare, i sordi - di udire. Tu purifichi i lebbrosi e coloro che sono tormentati da malattie a lungo termine, guarisci. E la donna sanguinante che ha toccato le tue vesti, tu hai guarito e resuscitato i morti. E ho sentito e compreso con il cuore che tu sei uno dei due scesi dal cielo, e che sei il Figlio di Dio. Sento anche, Signore, che i Giudei brontolano contro di te e vogliono ucciderti. La mia città è piccola, ma le persone che ci abitano sono gentili. E sarà sufficiente per entrambi".

2. Anania, giunto a Gerusalemme e incontrato Cristo che predica nel tempio, cerca di ritrarlo alla lavagna

Gesù dice ad Anania, che fu mandato da Abgar a Gesù: «Sappi d'ora in poi, perché, non avendomi visto, hai creduto, per te è preparata la salute. Sono stato mandato per adempiere ogni giustizia, e poi devo ascendere da dove sono disceso. E ora ti manderò uno dei miei discepoli, Taddeo, perché guarisca la tua malattia.

Quando Abgar udì queste parole, mandò uno scriba, abile nel dipingere icone, a Gerusalemme, perché scrivesse segretamente l'immagine di Gesù sul sudario. E Luca venne a Gerusalemme, ed entrò nell'assemblea dove Gesù insegnava, e, stando in piedi in un luogo remoto, cominciò a dipingere l'immagine del volto di Gesù con colori naturali, chiedendosi come avrebbe potuto comprendere l'incomprensibile Parola divina. Tuttavia, l'occulto rendeva segretamente ovvio ciò che stava accadendo. E subito Gesù gridò, dicendo: "Luca, Luca, ambasciatore di Abgar, dammi il sudario che hai portato da Abgar".

E Luca entrò nell'assemblea e diede a Gesù il sudario. E subito Gesù chiese dell'acqua e lavò con acqua il suo volto purissimo e divino, e si asciugò con un sudario. O miracolo, oltre la mente, oltre la mente! Quella semplice acqua si trasformò in colori e, rotolata giù, si fissò sul sudario, e sul sudario apparve l'immagine di Gesù, così che tutti furono inorriditi e spaventati. E Gesù lo diede all'apostolo Taddeo e lo mandò nella città di Edessa, dove Abgar giaceva malato su un letto per sei anni. E Luca l'ambasciatore andò con Taddeo, portando un'immagine non fatta da mano. E giunsero in un luogo chiamato Hierapolis, e rimasero fuori città, in una locanda. E temendo, nascosero l'immagine del Signore tra due lastre di creta.

E una colonna di fuoco apparve dal cielo e si fermò sul luogo dove era l'immagine nascosta del Signore. Quando le guardie hanno visto un tale miracolo, hanno urlato a gran voce. E quando tutto il popolo della città udì, si allarmò, e ci fu grande confusione nella città. Taddeo e Luca presero subito l'immagine del Signore e si misero in cammino. Quando i paesani giunsero al luogo dove si trovava la colonna di fuoco, furono inorriditi e si gettarono con la faccia a terra e guardando, videro che quell'immagine del Signore era impressa su una delle pietre. Loro, i cittadini, dopo aver preso questa impronta, la portarono in città. E quando entrarono per le porte della città, ecco che i ciechi, gli zoppi, gli indemoniati e i lebbrosi si radunavano gridando e gridando: «Gesù, salva il Dio alto, abbi pietà di noi!». E, toccando la somiglianza dell'immagine del Signore, ricevettero la guarigione. Quando i cittadini videro questo glorioso miracolo, glorificarono il Dio misericordioso e credettero nella Santissima Trinità, nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo.

Quando Taddeo e l'ambasciatore si avvicinarono alla città di Edessa e furono da essa a un miglio di distanza, apparve un certo zoppo strisciante e, vedendo gli apostoli del Signore, gridò dicendo: "Abbi pietà di me!" E l'apostolo del Signore, che portava l'immagine del Signore, lo toccò, e subito balzò in piedi zoppo e corse velocemente nella città davanti agli apostoli. E quando lo videro, tutti i cittadini rimasero sbalorditi, dicendo: "Non è costui il figlio di quella vedova che strisciava in ginocchio?" Alcuni dicevano: "Lui", altri: "Gli somiglia". E subito lo denunciarono al principe Avgar. E lo chiamò a sé e gli chiese: "Chi ti ha guarito?" Il giovane rispose dicendo: “Quando ero a un miglio dalla città e ho chiesto l'elemosina ai passanti, un uomo stava camminando lungo la strada con un amico. Ho cominciato a chiedere loro l'elemosina. E uno di loro mi ha toccato e, saltando in piedi, mi sono ripreso completamente, come mi vedi.

Avgar pensò che fosse Cristo e mandò molti servitori ad incontrarlo. E camminando, incontrarono gli apostoli, portando l'immagine del Salvatore non fatta da mani. E quando giunsero nel reparto di Abgar, dove da sei anni era steso su un letto malato, Avgar, vedendo la tunica con sopra l'immagine di Gesù Cristo, volle subito alzarsi dal letto su cui giaceva con gioia . E subito si alzò di scatto dal letto e in un attimo si rimise in salute con tutto il corpo, come se non fosse mai stato malato. E fu liberato dalla sofferenza incurabile, e cadde davanti all'immagine più pura, e cominciò a inchinarsi con amore. E allora Abgar disse all'apostolo Taddeo: "Cosa devo fare?" E l'apostolo gli disse: "Sii battezzato!" E fu battezzato nella città di Edessa con sua moglie e i suoi figli, e tutti quelli che appartenevano alla sua casa furono battezzati dall'apostolo. E tutta la sua città fu battezzata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Il sudario più puro e meraviglioso, su cui l'immagine di Cristo, il principe Avgar ordinò di organizzare oltre le porte della città, avendo attrezzato un luogo onorevole e ben fatto. Diede l'ordine che ogni persona che entra o esce dalla città si inchini prima all'immagine santa e onesta, quindi entri o esca nella città, scrivendoci sopra: "Signore, misericordioso, Cristo nostro Dio, speranza per tutti i paesi del mondo, abbi pietà di noi, perché crediamo in te. Chi si fida di te non si sbaglia nelle sue aspettative”.

Poi, trascorsi molti anni, un certo idolatra divenne signore di quella città; voleva distruggere quell'icona divina di Cristo, mettendo al suo posto una statua demoniaca di vili idoli. Appreso questo, il vescovo della città di quella concepì un piano. Poiché il luogo era tondeggiante, come se avesse la forma di una volta di pietra dove si trovava l'immagine del Salvatore, il vescovo di notte, quando nessuno lo sapeva, accese una lampada davanti all'immagine divina e la posò con un mattone. Ha recintato l'immagine dell'icona con lastre e calce dall'esterno e ha reso uniforme il muro. E poiché l'icona divenne invisibile, i malvagi si allontanarono dall'intenzione. "Perché", disse, "un tale tesoro è invisibile?"

Poi, dopo molti anni, arrivarono i Persiani e vollero prendere d'assalto la città di Edessa. I cittadini gridarono a Dio con le lacrime, chiedendogli misericordia e aiuto. E subito hanno ottenuto la liberazione. Una notte Eulalio, vescovo di quella città di Edessa, ebbe una visione di una donna luminosa, che gli disse: «Sopra le porte della città è nascosta l'immagine di Cristo Salvatore non fatta da mani. Dopo averlo preso, libererai rapidamente questa città e la sua gente dai guai. E gli mostrò il posto. Il vescovo, con grande gioia, appena cominciò a prendere luce, smontò il recinto e trovò l'immagine purissima di Cristo, una lampada non fatta da mani. Sul mattone posato per preservare l'icona fu impressa un'altra immagine, indistinguibile dalla prima. Oh miracolo! Per tanti anni quella lampada non si è spenta e il tesoro non è stato scoperto. Quando il vescovo prese l'icona purissima e si fermò alle porte della città e alzò la mano, tenendo in mano quell'immagine onesta e miracolosa di Cristo, come se i Persiani fossero perseguitati dal fuoco. E avendo sofferto così, i Persiani in disgrazia si ritirarono dalla città di Edessa. Alcuni sono morti, altri sono stati picchiati.

Ma era volontà di Dio che questa santa immagine del Signore rimanesse nella città gloriosa e protetta da Dio di Costantinopoli. Romano, il re greco, che allora era al potere, mandò duemila litri d'oro e diecimila d'argento e duecento saraceni, uomini nobili, al proprietario della città di Edessa, perché gli mandasse quella purissima icona, l'immagine del Signore, e gli darebbe una pace a lungo termine se otterrà ciò che vuole. Il re mandò nella città di Edessa per un tesoro straordinario, meraviglioso e lodevole, cento vescovi, duemilaseicento sacerdoti e quarantamila diaconi e abati, Chernorizets e monaci, che possono nominare il numero. E giunti nella città di Edessa, presero quella purissima immagine del Signore, implorando con lacrime e gridando con salmi e canti: "O Signore, Signore, abbi pietà!" E quando si avvicinarono al paese greco, il re e il patriarca seppe che si erano già avvicinati con un'immagine non fatta da mani.

Lo zar uscì con tutti i dignitari e il patriarca con tutto il clero e tutto il popolo: innumerevoli uomini e donne. Le navi coprivano il mare con candele e profumati incensi. E quando si radunarono, cominciarono a proclamare: «Gloria a te, signore molto misericordioso, che hai voluto venire a noi, tuoi indegni servi! Gloria a te, Signore generosissimo, che hai dato a noi peccatori l'opportunità di inchinarci alla tua immagine più pura! Gloria, Cristo, alla tua volontà, perché tutto disponi a beneficio e per la salvezza del genere umano! E quando tutti entrarono in città, il patriarca portò sul capo un'arca d'oro, nella quale c'era un tesoro più caro del mondo intero. Il popolo, al seguito, ha proclamato: “Signore, abbi pietà!” E altri cantavano vari canti: “La venuta di Cristo è chiaramente il nostro Dio!” Altri proclamarono ad alta voce: “Rallegrati, città di Costantino! Ecco il re, è arrivato il tuo liberatore. Non su un asino, come prima, a Gerusalemme, ma ora su una pura icona, desiderosa di salvarci dall'illusione degli idoli malvagi. Molti malati senza numero trovarono guarigione: i ciechi riacquistarono la vista, i sordi cominciarono a sentire, gli zoppi cominciarono a correre più veloci dei camosci, i muti parlavano e tutti gli indemoniati trovarono guarigione. Eppure proclamavano a gran voce: «Accettate», dissero, «la città di Costantino, gloria e gioia. E tu, romano - Zar Porfirogenito, rafforza il tuo regno! Ed entrarono nella Chiesa della Sapienza di Dio il 16 agosto, e accettarono questo onesto tesoro.

Il re, il santo e semplicemente l'intera moltitudine si inchinarono a lui con gioia e, baciandolo, lo deposero in una reliquia forgiata d'oro. E da qui - il luminoso trionfo dell'avvento dell'immagine divina dell'immagine divina-umana di Cristo, nostro vero dio, che gli fa, celebra, gli manda gloria con il Padre e lo Spirito Santo.

Antica letteratura russa. Antologia.
Sito storico e letterario (http://old-ru.ru/)